Regia di Woody Allen vedi scheda film
Stretto in una micidiale geometria degli spazi fisici va in scena l'abisso psichico di una famiglia intellettuale borghese, nel suo smarrimento inghiottito di ansie edipiche e voracità psicotiche, che la civilizzazione può solo fagocitare anziché arginare. Riferimenti a Bergman certo, ma anche a Polanski. 9,5
Stretta in una micidiale geometria degli spazi fisici interni, quest’opera mette in scena l'abisso psichico di una famiglia intellettuale borghese, nel suo smarrimento inghiottito di ansie edipiche tra le figlie e il padre e voracità psicotiche della madre, tutti coinvolti in una civilizzazione che può solo fagocitare anziché arginare il magma che li caratterizza.
I riferimenti a Bergman sono bene visibili, se non altro per i dialoghi e la disperazione esistenziale che caratterizza i personaggi, ma non mancano anche rimandi a Polanski, per le atmosfere claustrofobiche e i rapporti costellati da invidia, gelosia, competizione fino alla morbosità, dietro cui si nasconde il male di vivere e la voglia lacerante di esprimersi fino a svanire e a stravolgere gli stessi legami famigliari.
La regia è ben architettata sin dall’inizio. Un inizio prezioso, porprio perchè straniante, che lì per lì si fa fatica a contestualizzare, quasi fuori dal tempo, in cui presente e passato e fine della storia convivono in splendide sequenze di immagini, su cui la voce fuori campo del padre tratteggia l’inizio splendido di un amore, la nascita di tre bambine, una bella casa sul mare, ordinata, geometrica, una storia insomma perfetta, che poi, di colpo, sprofonda nell’abisso.
E così le riprese si allargano e vanno a pescare le storie di ciascuna protagonista,e tre figlie in primis, Joey, Renata e Flyn: Joey convive con un intellettuale impegnato politicamente, ma non sa come orientarsi nella vita professionale, si sente senza un’identità sociale, presa com’è a doversi far carico della madre Eva, dalla quale, dopo i primi segnali di follia, prende congedo il marito; Renata invece sembra una poetessa in carriera a dispetto di un marito i cui scritti non hanno successo, ma intanto anche Renata soffre dentro, si sente come disincarnata dal proprio corpo, spersonalizzata e alienata; Flyn, l’attrice single, sembra quella che sta meglio di tutte, ma in realtà soffre di solitudine, non varca la soglia dei prodotti televisivi ed è dipendente da cocaina.
Un bel quadretto famigliare, i cui i rapporti sono alquanto instabili e tesi. Abbiamo poi un padre distante, che pensa di rifarsi una vita con un’altra donna mentre sua moglie, madre delle tre protagoniste, sembra davvero incarnare Eva, il principio, l’origine di tutti i mali e le sofferenze. E’ lei che sin dall’inizio ha predisposto la grande casa in una geometrica perfezione, aiutando il marito a prendersi finalmente la laurea e diventare avvocato, allevando le figlie e facendole crescere nel gusto della bellezza e dell'arte. Una donna che ha tutto sotto controllo, ma che la porta a una crisi di nervi e alla follia, facendo saltare tutti i rapporti famigliari. Tutti ne fanno le spese, non solo perché Eva la madre è l’occasione della deflagrazione dei rapporti ma anche perché questa stessa deflagrazione si catalizza su di lei diventando il capro espiatorio delle disfatte degli altri membri.
In queste dinamiche diventano centrali i rapporti edipici tra Joey e il Padre, a causa dei quali la stessa Joey avverte sensi di colpa e identificazioni irrisolte con la madre al punto da odiarla e odiare se stessa pur amando sua madre ma senza essere in grado di esprimerlo per l’attaccamento al padre (da qui la sua crisi identitaria). Una condizione mutilante che la porta a essere invidiosa delle altre sorelle, ad essere chiusa in se stessa, e sarà proprio lei ad assistere al suicidio della madre in mare, a cercare di salvarla rimettendoci quasi la vita e ad essere salvata per miracolo dalla nuova donna del padre, tramite una respirazione bocca a bocca che la farà rinascere alla vita fisica, ma con lo spirito a stracci, tradita dal padre e ancora più in colpa per la morte della madre.
Un film davvero notevole, che a distanza di tanti anni mantiene intatta una forza di classicità insuperabile. Un’opera amara, senza riscatto, che se da una parte blandisce la cultura e le belle arti, di cui va fiera la famiglia, dall’altra non smette di identificarle come armi suicide della spontaneità, la cui espressione però non è neanche quella artefatta, socialmente sana e conformista della nuova donna del padre. Nessuna salvezza dall’alienazione del mondo capovolto borghese: Bergman, Polanski ma anche l’umorismo nero di un certo Bunuel attraversano l’originalità di quest’opera, davvero drammatica fino alla fine.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta