Regia di Woody Allen vedi scheda film
Ad un certo punto della carriera di Woody Allen che sguazza nella commedia che, a dire il vero, si avvicina di più alla satira nuda e cruda, compare Interiors che sembra avere il netto intento di sbatterci in faccia la capacità di Allen di far riflettere e anche intristire dopo che non aveva osato altro che farci ridere.
Arthur è sposato con Eve, fa l’avvocato e ha tre figlie ormai grandi. Un giorno decide inaspettatamente di volersi separare dalla moglie ed esprime il desiderio di vivere da solo. Eve già instabile mentalmente, riceve un colpo durissimo che la porterà verso l’ennesima crisi depressiva acuita dalla capacità di Arthur di rifarsi una vita, totalmente estraneo al dolore che lo circonda.
Il ritratto che Allen traccia è quello di una classica famiglia americana, nascosta dietro la coltre del perbenismo e della becera abitudine volta a condurre una vita al limite della soddisfazione dettata per lo più da rapporti stabili seppur soddisfacenti e dalle compiacimenti personali generati dal successo lavorativo o dalle piccole conquiste.
Senza dubbio somiglia, nei tratti, a qualcosa che siamo abituati a vedere nei film di Allen. Anche qui la verità sembra farla da padrona, ci viene mostrata in tutta la sua potenza distruttiva, seppur in una forma totalmente diverse: se in precedenza ad essere mostrato era il suo lato ilare, qui è il suo lato drammatico ad essere mostrato.
Un film intimo e delicato. Potente e inaspettato, che punta sulla bravura dei suoi interpreti: Geraldine Page, E.G. Marshall e Diane Keaton spicca tra gli altri, e su una buona sceneggiatura avvolta da dialoghi ben costruiti. A tutti coloro che potrebbero storcere il naso al connubio tra Allen e drammaticità dico che ne resteranno piacevolmente colpiti.
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