Regia di George Miller vedi scheda film
Da medico a regista, la carriera del regista australiano George Miller è tra le più sorprendenti della storia del cinema, in quanto sembrava avviato verso ben altri lidi – medico al pronto soccorso di Sydney -, quando i casi della vita ed una passione coltivata come hobby, diventa la svolta decisiva.
Miller, laureato in medicina, ma nel tempo libero direttore di cortometraggi, riscuote lungo tutti gli anni 70’, un gran successo con essi ai vari festival nel suo paese, così presenta una bozza di 40 pagine assieme allo sceneggiatore McCausland, ad una casa di produzione locale, che concede il via libera, stanziando però un budget non molto alto, oscillante tra i 350.000 ed i 400.000 dollari.
La storia prevede molte auto, motociclette, incidenti e stunt difficili, quindi gran parte delle risorse devono essere impiegate a tale scopo, obbligando il regista a rinunciare ad ingaggiare qualsiasi attori americano di una certa fama, che avrebbe chiesto sicuramente troppo.
Leggenda vuole che alle audizioni per il ruolo del rude agente Max Rockatansky, si presenti un giovanissimo Mel Gibson con un occhio tumefatto a causa di una recente rissa, così la produzione si convince che il ragazzo è perfetto per il ruolo da duro richiesto.
Mad Max – Interceptor (1979) - rinominato in tal modo recentemente in Italia, quando all’epoca nel nostro paese uscì solamente con il titolo Interceptor, in riferimento alla macchina guidata dal protagonista), ha dato il via ad una saga composta da quattro film, rinomata per essere la punta di diamante della fantascienza apocalittica al cinema; ma a ben vedere il primo capitolo è molto differente nelle atmosfere rispetto ai seguiti, mostrando un futuro distopico non molto lontano, dallo sguardo più vicino all’attualità del presente – la crisi energetica, che ricorda quella del 1973 – e del passato, a cui si rifà nei palesi richiami al cinema western.
Una storia lineare e basica, di violenza, follia e vendetta, Miller e lo sceneggiatore, non si sforzano molto nel buttare giù una storia che indubbiamente sa di già visto centinaia di volte, ma la messa in scena del cineasta, si percepisce particolarmente nel portare all’eccesso sia la recitazione dei membri antagonisti della Nightriders, che delle forze del corpo di polizia speciale del Main Force Patrol, sia nel voler stilizzare la violenza, tramite un iper-dinamismo delle inquadrature dei veicoli, lanciati ad alta velocità sull’asfalto rovente.
Nonostante gli evidenti rimandi al genere western, con macchine e motociclette, che sostituiscono diligenze e cavalli, le strade sconfinate e polverose dell’entroterra australiano, non sono inquadrate da Miller con un approccio alla John Ford, tramite l’uso di campi lunghi, ma con macchine da presa angolate verso il basso, montate direttamente su auto lanciate ad oltre 300 chilometri orari, conferendo all’immagine una distorsione nelle forme, dovuta alla tecnica della velocizzazione.
Un approccio da B-movie, che guarda al cinema di Sam Peckinpah, nella violenza efferata e nel montaggio iper-serrato, tagliente, e frammentato, che scomponendo il quadro della sequenza d’azione, in tanti piccoli frame, giunge ad una “parcellizzazione” delle immagini, che in un gioco di zoom e carrellate, giungono a dei piani di ripresa sempre più stretti.
George Miller, al suo debutto, ha già chiari i riferimenti di partenza, ma anche una buona personalità nel dirigere l’azione, in uno stile a “lente d’ingrandimento” nel mettere in scena la distruzione di auto e motociclette, partendo dal veicolo ripreso nella sua interezza, per poi passare tramite il montaggio, verso inquadrature sempre più ravvicinate e dettagliate di vetri, carrozzeria e lamiere, che vengono spaccate, divelte ed accartocciate.
La distruzione in Mad Max - Interceptor, richiama un parallelismo macabro con il corpo umano, in cui le ammaccature e la rottura dei pezzi dei veicoli, sembrano quasi lacerazioni ossee del corpo umano, con tanto di gasolio che fuoriesce dai serbatoi fracassati, come se fosse un fiotto copioso di sangue.
In questa atmosfera di continua violenza, le autorità istituzionali sussistono ancora nei discorsi qua e là pronunciati dai personaggi, ma appaiono lontane e distanti, probabilmente in rovina come la maggior parte degli edifici pubblici, i cui intonaci cadono a pezzi, come se fossero corrosi da una fine imminente non troppo lontana.
Nella frontiera ridotta a stato di natura, l’unica legge in vigore è quella della violenza; Max non ha bisogno di toccare con le mani la maschera di mostro, che usa per giocare con il proprio pargolo, lui è già un folle violento in potenza, nonostante il distintivo affermi che lui è dalla parte dei “buoni”.
Basta una semplice goccia che faccia traboccare il vaso, per trasformare Max Rockatansky in Mad Max, diventare ciò che si è realmente, senza dissimulare alcuna distinzione tra faccia umana e sembianze da mostro.
Gli occhi rapaci dell’interpretazione di Mel Gibson conferiscono al protagonista le sembianze di un giustiziere vendicativo, scorrazzante lungo le strade dell’entroterra, con la sua sinistra Interceptor spinta da un “bestiale” motore a 8 valvole; un veicolo “rapace”, pronto a ad attaccare qualunque “bersaglio”, senza lasciargli alcuno scampo.
Vincitore di vari premi in Australia, il film ottenne un bel successo in patria e soprattutto all’estero con circa 100 milioni di incassi, generando un profitto enorme in relazione ai miseri costi di partenza. La critica, specialmente americana, bocciò malamente il film, accusando la pellicola di avere una storia risibile, una regia da B-movie ed una violenza inutilmente sadica, che avrebbe spinto molti all’emulazione, senza in realtà comprendere che il discorso di Miller, verte proprio sulla “bestia umana”, che in quanto tale, non hanno bisogno di alcun approfondimento psicologico marcato nelle sue azioni, semplicemente, agisce in funzione del proprio istinto primitivo.
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