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Tara Pokì

Regia di Amasi Damiani vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Tara Pokì

di moonlightrosso
1 stelle

Esordio cinematografico del "Reuccio di Fiumara"

Imprescindibile capolavoro del brutto che segna l'esordio come attore dell'oggi compianto "Reuccio di Fiumara" Mino Reitano, cantante all'epoca popolarissimo soprattutto fra i meridionali come l'emblema dell'immigrato dal cuore d'oro, che nonostante le ristrettezze, le mille difficoltà e la diffidenza verso chi proveniva dal Sud, era riuscito comunque a farcela.

Il calabrese Salvatore Siciliano, abituale factotum del sottobosco cinematografico di casa nostra di quel periodo, propone in veste di produttore uno sgangherato copione da lui stesso vergato in collaborazione con tali Stelio Tanzini e Graziella Marsetti, traducentesi in un allucinante prodotto bifasico: la pellicola infatti parte come un dozzinale romanzo d'appendice ambientato nell'Italia meridionale di fine Ottocento, per proseguire poi virando verso il western tout court.

Dati gli scarsissimi mezzi a disposizione venne chiamato a dirigere siffatto delirante progetto il semisconosciuto Amasi Damiani. Autore sino a quel momento di alcuni poveristici films di genere (gli unici ad aver fruito di una sia pur fugace uscita in sala), si specializzò successivamente in pellicole destinate a rimanere invisibili (a meno di insertarle di scene hard) e che sarà acclamato a partire dagli anni novanta vincendo improbabili premi in altrettanto improbabili e ultrasconosciuti festivals.

Un'opera di assoluto sculto, relativamente alla quale i cinefili più raffinati e snob hanno addirittura parlato di esempio di "straniamento brechtiano"; definizione calzante a patto di rivisitarla nella sua accezione più squisitamente involontaria. Tutti gli interpreti non trasmettono in effetti nulla circa il pathos dei loro personaggi. Grazie a un'incapacità attoriale ed espressiva senza pari, con in testa naturalmente il Reitano, si lascia lo spirito critico del malcapitato spettatore a chiedersi, senza ovviamente trovare risposta alcuna, come sia stato possibile tutto ciò, nonchè a crogiolarsi al cospetto del più desolante squallore della messa in scena, quale elemento assolutamente prevalente della pellicola.

Scendendo nel dettaglio e sviluppando quanto si è sopra anticipato, il nostro incredibile pastrocchio risulta sostanzialmente suddiviso in due tronconi. Nella prima parte con esterni a Taurianova (paese natìo del produttore Siciliano), il Reitano riveste il ruolo di Mico Sarrabanda (si chiama veramente così!!!), carrettiere figlio di carrettieri, che si innamora della bella Teresa, soprannominata Tara (l'israeliana Aiza Azar), figlia del signorotto locale Don Gialormo Pokì (nome più assurdo e improbabile non si poteva trovare, ma non importa), impersonato dal prolifico caratterista Furio Meniconi. Recatosi a casa di quest'ultimo a chiedere la mano della ragazza, riceverà dinieghi e ogni sorta di umiliazioni. Stufo delle angherìe che l'arrogante nobilastro farà subire a lui e alla sua famiglia, culminate con la revoca della licenza di carrettiere, Mico ucciderà in duello a colpi di coltello sia Don Gialormo che anche suo figlio.

Per sfuggire alla giustizia, Mico sarà costretto a riparare in Texas (cosa???), che altro non sarebbe se non il solito scalcinato villaggio western immerso nella campagna laziale. Il relativo tragitto viene simboleggiato da un'allucinante dissolvenza di binari del treno che si intersecano in un tripudio di colori ultrakitch, forse memori di un'overdose da LSD. In questa seconda parte della nostra sgangherata vicenda (praticamente gli ultimi venti minuti della pellicola a fronte di ottanta minuti scarsi di durata complessiva), il nostro si trasformerà addirittura in un bounty killer (non sto scherzando ma è la pura verità!). Apostrofato dalle bellezze o meglio bruttezze locali con appellativi decisamente trash del calibro di "Che bel muchacho!" e similari finezze, il Sarrabanda incontrerà una congèrie di personaggi uno più assurdo dell'altro tra cui anche il bandito Jim il Nero (Angelo Boscariol), vigliacco e stiratore di femmine (sic!). Ucciso il criminale, Mico potrà finalmente convolare a giuste nozze con l'amata Tara che nel frattempo lo aveva raggiunto in America!!! (arisic!).

Il finale originario del film, proiettato in prima visione assoluta giustappunto in quel di Fiumara, prevedeva l'uccisione di Mico da parte di Tara, per vendicare la morte del padre e del fratello. Per porre fine ad una vera e propria sommossa popolare dei fiumaresi, che male avrebbero digerito la morte del loro idolo, nonchè per evitare un probabile linciaggio del regista (e ce ne sarebbe stato ben donde!), si decise di fretta e furia di girare un finale diverso, che è quello che appare nell'unico master disponibile ricavato da una rarissima videocassetta australiana destinata ai nostri immigrati. Qui i due protagonisti vengono ripresi a correre l'uno verso l'altro al ralentì e inquadrati in campo lunghissimo a distanza iperchilometrica, per consentire al Reitano di cantare, come era sua abitudine a squarciagola, il motivo portante del film "La leggenda di Tara Pokì", accompagnato dalla tromba squillante di Nini Rosso (non so se mi spiego!!). In tale contesto ed in un lampo di genio registico, il volto di Tara si staglia in dissolvenza, come nelle più sgangherate telenovele brasiliane o peggio ancora nei più dilettanteschi filmini matrimoniali realizzati dal fotografo sotto casa.

A completare l'aura di leggenda che aleggia attorno alla pellicola, peraltro circolata pochissimo, è doveroso riportare un'intervista realizzata dalla rivista Nocturno al regista. A sentire quest'ultimo, pare che negli studi della Elios Film in cui si giravano gli interni, si accalcassero donne in delirio con in braccio i loro pargoletti invitando il Reitano a toccarli con le sue mani sante e benedette, manco fosse Padre Pio e questo pure li toccava!!!

Un film comunque da vedere e rivedere quale esempio di "pessimo cinema" da parte di un cineasta che fonderà a Livorno, sua città natale, una scuola di regia nella quale, immagino, si possa imparare "a contrariis" tutto ciò che non si dovrebbe fare per realizzare un film decente.

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