Regia di Joseph L. Mankiewicz vedi scheda film
Sleuth significa indagare, investigare, fare il detective, seguire tracce come un segugio e portare in superfice le prove schiaccianti, ed è proprio questo il compito dello spettatore che assiste al gioco di ruolo sopraffino messo in scena da Mankievicz direttamente da una felicissima rappresentazione teatrale firmata da Anthony Schaffer.
Redigere una recensione su questo film mette a repentaglio la sua incolumità, nel senso che si rischia inevitabilmente di svelarne i colpi di scena ed i trabocchetti nascosti dietro i volti e i dialoghi intrecciati da uno strepitoso Lawrence Olivier e un altrettanto eccezionale Michael Caine che non sono però gli unici interpreti del cast al contrario di ciò che appare nei titoli di testa: i quattro nomi di attori fittizi sono il primo vero inganno perpetrato nei nostri confronti perché quegli attori compaiono nel racconto in maniera significativa stando a metà strada fra il McGuffin e la comparsa: c’è l’amante di Andrew Wyke e sua moglie che se la intende con Milo Tindle, l’ispettore Doppler, l’ispettore Tarrant e l’agente Higgs che si insinuano nella ludica tragedia in tre atti.
Tutto sembra essere visibile ad occhio nudo ma così non è a partire dal labirinto di siepi dove Milo Tindle cerca la via per raggiungere il suo ospite Andrew Wyke che lo ha invitato nella immensa villa fuori Londra per discutere la separazione dalla moglie del quale Milo è l’amante ufficiale, basta girare una siepe e la strada si apre come una fioriera di marmo piena di liquori.
Il preambolo che introduce il primo atto espone subito alcuni trabocchetti scenografici e umorali che Andrew Wyke ha architettato per far cadere nella sua trappola Milo Tindle: Wyke è un rinomato scrittore di romanzi gialli e questa volta ha messo in moto la sua fantasia e la sua esperienza professionale per innescare un gioco sadico nei confronti di quel dandy giovane ed elegante che si è appropriato della moglie senza permesso.
Il campo di gioco è la sua enorme magione piena di pupazzi meccanici alquanto inquietanti che sembrano dei testimoni involontari della contesa o addirittura dei complici di Wyke ma anche di Tindle a seconda delle circostanze, libri di testo, scacchiere, costumi di scena, soprammobili e giocattoli di ogni genere punteggiano un quadro scenografico di grande impatto visivo nel quale Olivier e Caine si sfidano a colpi di battute taglienti.
Il cast inanimato di Sleuth composto da bambole e pupazzi elettronici
Wyke tira i fili del suo burattino e schiaccia i bottoni su Milo Tindle che si abbassa alle sue richieste convinto che il gioco sia effettivamente architettato per far bruciare la candela da entrambi i lati, allo stesso tempo però si respira una tensione malsana fra i due caratteri visto che Wyke è certo di essere più scaltro del suo ospite dall’alto della sua esperienza di scafato romanziere mentre Milo Tindle vuole sovvertire le certezze del suo avversario proprio sulla base dei risvolti imprescrivibili e imprevedibili della vita reale, lo scontro è quindi un raffinato tourbillon di espressioni e ammiccamenti, esplosioni umorali, tranelli reali e virtuali affidati alle prove attoriali dei due protagonisti da mostrare nelle scuole per chi volesse capire il significato della parola RECIRTARE: c'è una coordinazione tale fra i due protagonisti e colui che li riprende da rendere il susseguirsi dei fatti incredibilmente fluido e credibile.
Il rimpiattino del primo atto si chiude bruscamente per innescare i colpi di scena a cascata del secondo e del terzo: con l’arrivo dell’arguto ispettore Doppler si aziona il ribaltone progressivo della storia che sembra sempre meno un gioco e sempre più un duello vero e proprio a colpi di inganni e torture psicologiche, purtroppo il colpo di scena più spiazzante alla fine del secondo atto porta con se anche i due difetti più pesanti del film perché l’espediente per ingannare lo spettatore è truccato e trascurato malamente dal regista che non ha calcolato il fatto che a teatro il pubblico non può osservare da vicino gli attori, è piuttosto facile che si veda arrivare il twist prima del tempo, secondariamente una volta scoperto questo asso nella manica della trama è difficile pensare di stupire oltre modo lo spettatore anche se il terzo atto è ancora molto vivace e pieno di trovate che portano alla conclusione quasi affamati di nuovi capovolgimenti anche dopo il finale che molti fans della play si sono spesso spremuti ad inventare o immaginare.
“Gli insospettabili” è comunque un classico non solo per la prova mostruosa di Olivier e Caine ma anche per l’impianto scenografico allestito da Mankievicz e immagazzinato sulla pellicola con grande sapienza tanto che la noia è sconosciuta allo spettatore che ha come l’impressione di muoversi nel labirinto di siepi con Caine, salire e scendere le scalinate con i due contendenti, buttarsi nel deposito del carbone con Olivier, cercare gli indizi disseminati nella trama e fra i gioattoli, insomma sentirsi a contatto con gli attori come fosse a teatro.
Peccato per la superficialità con cui hanno allestito il colpo di scena centrale della storia, su tale argomento devo precisare che avendo già visto il remake di Kenneth Branagh ero a conoscenza di quel ribaltone ma sono convinto che lo avrei fiutato anche senza saperlo vista la pochezza della messa in scena in quel tratto del film mentre nel remake quello che io considero un grosso errore di rappresentazione è stato accuratamente corretto, la domanda nasce quindi spontanea: quale dei due è il migliore?
Ovviamente l’originale, perché nonostante tutto il difetto può anche essere inteso come un passaggio voluto del regista per far intravvedere al pubblico cosa c’è in arrivo, il film di Branagh non è però un brutto remake: è diverso per atmosfera e sfumatura caratteriale dei personaggi visti in chiave moderna in un quadro più asciutto e un po’ meno teatrale.
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