Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Qualche anno fa Scorsese affermò di non essere più interessato all'attualità in quanto riteneva il passato più eccitante del presente. Per fortuna, ha cambiato idea. Era impensabile che un cinema nevrotico e iper-attivo come quello di Marty non si aggiornasse all'era dei cellulari, dei pc, delle telecamere, delle intercettazioni, dell'ideologia dell' "eternamente connesso" e del controllo globale. The Departed è un film ambizioso, in quanto vertiginosa trattazione (in moto perpetuo) non tanto, e in modo banalmente dialettico, sul labile confine fra Bene e Male, quanto sul concetto stesso di identità e quindi di persona, di essere "relazionale". Gli attori sono ok (ci mancherebbe: con Nicholson nel cast! ma occhio anche a Wahlberg, ben al di sopra dei suoi standard...), la regia è in gran forma nel distruggere la cronologia (e c'è chi continua a bollarlo come "semplice narratore"), tanto che il montaggio pare quasi far fatica a stare al passo con un concetto di tempo del tutto scombinato. Quello che penalizza la riuscita complessiva è, ovviamente, l'intricata trama poliziesca. Intricata non tanto per gli eventi narrati, quanto per lo sconquasso psicologico e comportamentale che questa doppia e reciproca infiltrazione crea nello spettatore. Il ritmo avvincente riscatta queste debolezze, mentre a mancare è la tensione: penso si tratti di una precisa scelta registica (enfatizzata dalla scelta di proporre in sottofondo musica incessante, prevalentemente blues, ma non dimentichiamoci dell'effetto straniante di intermezzi lirici, rap o addirittura folk-metal!), quasi a sottolineare, con navigato cinismo, l'appiattimento morale fra sbirri e malavita, nonchè la considerazione nulla della dignità umana e della sfera emotiva (come già in Goodfellas). Il finale (assai discutibile e frettoloso, per non dire incomprensibile) pare confermare, sordidamente, questo concetto. Irrisolto anche il personaggio femminile della psichiatra. Un'opera di grande respiro, non del tutto riuscita, che sta in piedi grazie al magnetismo degli attori, al brio e al vitalismo della regia e alla generosità di un copione forse troppo complesso per permettere il pieno dispiegamento di una profonda riflessione morale e antropologica.
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