Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
L'ultimo lavoro di Scorsese è assillato da una schizofrenia ingombrante che dalla trama tracima nella struttura narrativa e filmica. Remake del film di Hong-Kong Infernal Affairs, con aggiunte dal prequel (le sequenze in carcere) e dal sequel (la doppia storia d’amore con la stessa donna) successivi, The Departed descrive la duplice infiltrazione di un malavitoso (Matt Damon) nella polizia e di un poliziotto (Leonardo Di Caprio) nella mafia, variante irlandese. Il film si inserisce perfettamente nel filone paranoico e ossessivo della produzione scorsesiana, e una storia di duplice tradimento si trasforma in tragedia shakespeariana, in suicidio per interposte persone, mentre diventa un melodramma attraverso la componente amorosa.
Essendo i due personaggi uno solo lo specchio dell'altro e fratelli su campi opposti, Scorsese evidenzia l’aspetto di faida familiare, con il sacrificio delle figure paterne sussidiarie dei rispettivi capi carismatici, della cui morte i protagonisti sono colpevoli o implicitamente causa; per la duplicità delle parti e la doppiezza dei ruoli, riverberate anche nei personaggi secondari, il senso di imprecisione e precarietà rendono il film necessariamente schizofrenico. Il lavoro sul cast è notevolissimo nei supporting role (Sheen, Whalberg, soprattutto Baldwin), più sfacciato in Jack Nicholson che sembra ripristinare i fasti demiurgici de Le streghe di Eastwick o del Joker di Batman. E’ infatti dall suo personaggio che prende l’avvio il film, in una prima parte che scorre rapida con l’introduzione la mondo malavitoso da parte del boss irlandese su base musicale rock e la grande capacità di ellissi di Scorsese, per poi dare più risalto ai giovani protagonisti e lasciare il padrino sullo sfondo, personaggio tra gli altri, sempre più esagitato con il trascorrere della pellicola.
Con una certa ironia, le somiglianze anche fisiche tra i due antagonisti Damon e Di Caprio sono accentuate nel costante gioco del gatto col topo, sino ad un abbigliamento identico nella scena dell'inseguimento, nell'amore per la stessa donna, sino alla struttura inedita (rispetto al modello cinese) e speculare del finale.
Se Di Caprio recita naturalisticamente la sofferenza della propria condizione, Damon offre una interpretazione leggermente falsata da un secondo livello, incarna una variante dell'american way of life in cui la corruzione è un agile propulsore di carriera per un rampante privo di scrupoli; il fascino del potere e del riscatto sociale si scontra con il fascino della giustizia e del riscatto familiare rappresentati da Di Caprio e dalla sua datata e tormentata fedeltà ai valori. L'insieme diventa allora il ritratto di un'America schizofrenica e paranoica, in cui il nemico sembra essere in perenne agguato e che si strazia nel terrore di rivelare il proprio bluff, trasformandosi nell'incubo di essere scoperti e nella difficoltosa necessità di tenere costantemente informati i propri superiori delle mosse della parte avversa
È probabile che il connubio tra Scorsese e Di Caprio rappresenti per l'attore una forte evoluzione nella carriera e la sua interpretazione si fa via via più intensa con il passare dei film, ma l'incrocio dei due talenti avviene forse in un momento di pericolosa caduta di Scorsese. Gangs of New York era una risposta al morbido classicismo che celava il turbinio melodrammatico del sentimento de L'età dell'innocenza, era l'altra faccia della stessa città (con un'incursione feroce nei quartieri borghesi al centro dell'adattamento della Wharton che faceva pensare ad un salto nel tempo, dalla barbarie alla civiltà) e lo specchio espressionistico dell'innocenza primigenia degli Stati Uniti. The Aviator era dominato dalla volontà di Di Caprio di primeggiare, tanto da annichilire il film in un biopic spigoloso e senz'anima che, nel tentativo di rifare Citizen Kane rifacendosi allo stesso personaggio di Hughes, rimaneva schiacciato dalla duplice ambizione di regista e interprete.
In The Departed la mancanza di certezze della trama diventa anche sintattica, come se la forma del film nascondesse un'insidia, una falsità intrinseca, la natura stessa di remake, di falso narrativo, copia che si spaccia per prototipo e cerca di nascondere la propria identità. Il film abbonda di raccordi sbagliati, controcampi imprecisi, di cambi d'asse ingiustificati, rotture di montaggio nella continuità di una scena. É come se la materia stessa della pellicola si fosse informata al suo contenuto, o se la versione in proiezione fosse una brogliaccio di un lavoro adeguatamente più lungo raffazzonato per mancanza di tempo o pazenza. Il regista inoltre infiltra il film di autocitazioni da Cape Fear a Quei bravi ragazzi, celebrando il proprio cinema mentre resuscita efficaci manierismi, ripercorre la propria carriera verso l'innovazione, mentre in realtà ripiega su un rifacimento, si adagia sulla fedele copiatura di un altro film.
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