Regia di Freddie Francis vedi scheda film
Una delle migliori regie di Freddie Francis, cineasta alle prese con un horror girato a budget modesto ma reso intrigante da un soggetto ambiguo (come esplicitato da un finale a doppia interpretazione) e dalla perfetta performance di Peter Cushing. Pochi gli effetti speciali, al servizio di una storia fondamentalmente cupa e suggestiva.
Lo scienziato Emmanuel Hildern (Peter Cushing) sta lavorando su un dipinto inquietante, che ritrae una mostruosa creatura senza un dito, quando riceve una visita.
"Avevo chiesto uno specialista, un collaboratore (...) Il mio lavoro è della più grande importanza, per la salvezza del genere umano. Lei crede nel Male, dottore? No, non nel Male come è comunemente inteso, ma nella sua esistenza quale... quale organismo vivente, come un morbo che affligge l'umanità, alla pari del colera o del tifo, un'epidemia che si va diffondendo e che finirà per conquistare il mondo intero. Il Male è una malattia, un'affezione che può essere prevenuta o curata, come molte altre... (...) Io ho isolato il bacillo del flagello più terribile che ci sia."
(Hildern)
La narrazione procede quindi a ritroso, partendo da tre anni prima. Nel 1893, Hildern fa ritorno da una spedizione scientifica in Nuova Guinea portando con sé un antichissimo, enorme, scheletro di uomo primitivo, in grado di mettere in discussione la moderna teoria dell'evoluzione. Messosi a studiare il reperto Hildern scopre che, a contatto con l'acqua, il telaio d'ossa sembra in grado di rigenerarsi. Convinto di avere a che fare con una forma pura del Male, riesce a bloccare la rinascita della creatura limitandosi ad amputarle un dito, utilizzando però il suo sangue alla ricerca di un "vaccino" contro il male e la follia che sembra essere sempre più frequente tra gli esseri umani. Ostacolato dalla rivalità del fratellastro James (Christopher Lee) - un cinico direttore di manicomio - Hilder azzarda audaci esperimenti su una scimmia e, probabilmente, persino sulla figlia Penelope (Lorna Heilbron), ottenendo esiti disastrosi. Penelope fugge di casa, precipitando in una serie di ambigue esperienze, vissute all'interno di un bordello, che la condurranno all'omicidio.
"Peter voleva morire dal 1971, quando mancò sua moglie. Per lui era il mondo intero. La sola cosa che lo ha fatto andare avanti era il lavoro. Si è seppellito completamente nel lavoro..."
(Christopher Lee) [1]
Il terrore viene dalla pioggia: George Benson e Peter Cushing
Raffinato horror d'atmosfera che limita, alle sole sequenze finali, la rappresentazione dell'imponente creatura, più spaventosa per la minacciosa ombra che per i sintetici e grossolani effetti speciali. Francis è regista di classe quando all'opera su soggetti che sembrano ispirare la sua creatività, in tal caso supportato dall'ottima fotografia di Norman Warwick. In realtà la sceneggiatura, attribuita a Peter Spenceley e Jonathan Rumbold, appare piuttosto evasiva, spesso fuori tema soprattutto nella fase centrale, quando affronta gli aspetti psicologici e contraddittori di una famiglia in crisi (Penelope, tenuta all'oscuro della scelta paterna sul triste destino della madre), le pulsioni sadiche e violentemente erotiche degli avventori di un bordello e i malati ospiti di un manicomio (sfruttati a fini di studio dallo spietato personaggio interpretato da Christopher Lee). Per una lunga parte del secondo tempo si ha come la sensazione di assistere a un altro film, ma la scena è comunque tutta per Peter Cushing, che si esibisce in un sentito, sofferto, doloroso ruolo sconfinante, in maniera efficacemente ossimorica, in un inatteso cinismo. Il finale, ricollegandosi all'incipit, lascia libera interpretazione allo spettatore sulla realtà degli avvenimenti - o meno - narrata dal disperato protagonista.
Il terrore viene dalla pioggia: Peter Cushing, alquanto disgustato, analizza l'enorme dito della creatura
Il terrore viene dalla pioggia: Christopher Lee
Critica
"Il terrore viene dalla pioggia, prodotto in collaborazione con la Tigon, che si avvale dei trucchi di Roy Ashton, nella realizzazione di una creatura che sta a mezzo tra l'iconografia medievale della Morte e l'uomo di Neanderthal, è, con Il giardino delle torture, l'opera migliore di Freddie Francis, in cui maggiormente il gusto del regista per una raffinatezza espressiva e per una narrazione ambigua si dilata ad una critica della 'menzogna dello spettacolo', nella ripresa e contestazione finale del Caligari."
(Teo Mora) [2]
"Un altro plot assurdo reso plausibile con assoluta naturalezza da Cushing e Lee è quello de Il terrore viene dalla pioggia (The Creeping Flesh, 1973), un film molto bello diretto con maestria da Freddie Francis e prodotto dalla Tigon, un'altra casa di produzione inglese fondata nel 1966 e specializzata nel genere horror. Il regista lodò la capacità di Cushing di 'rendere ogni cosa credibile e ce n'era bisogno in un film come questo, lui portava una totale convinzione in ogni cosa che faceva'. Christopher Lee, qui in un ruolo meno preponderante ma comunque indispensabile, propone uno dei suoi personaggi altezzosi e glaciali, di cui Cushing, vero protagonista, sembra il contraltare più umano e sensibile, ma a tratti anche molto ambiguo, sullo sfondo di una Londra vittoriana. (...) C'è una scena struggente sulla quale è doveroso soffermarsi. Il vedovo Hildern, uscito dal laboratorio, sente il suono del pianoforte e, sconvolto, crede di riconoscere il tocco della defunta moglie Marguerite. In preda al turbamento sale le scale e, entrato nella stanza che fu della donna, vede una figura femminile di spalle seduta al piano, con gli stessi abiti da ballerina di music hall ch'erano appartenuti alla moglie. Piangendo sussurra 'Marguerite! Marguerite!' e, avvicinatosi, le sfiora amorevolmente la spalle. Lei si gira di colpo, interrompendo bruscamente di suonare, e scopriamo così che si tratta della figlia, alla quale era stato sempre interdetto fin da bambina di entrare in quella stanza e che per la prima volta ha disubbidito, spinta dal desiderio di penetrare nell'evanescente mondo di una madre soubrette di cui ha solo un lontanissimo e sbiadito ricordo. Il dolore e l'agitazione del protagonista in lacrime sono talmente reali che non si può fare a meno di ricondurli al dramma interiore di Cushing, ancora sconvolto dalla recente perdita della moglie. È una sequenza toccante, soprattutto per i più assidui ammiratori dell'attore che ne conoscono le vicende private."
(Mario Galeotti) [3]
"Il terrore viene dalla pioggia è il capolavoro di Freddie Francis, regista abile e professionale, ma talvolta così poco interessato alla materia da lasciarlo trasparire in direzioni anonime e anche sbrigative. Francis trova qui argomenti e personaggi che lo ispirano e riesce a dare alla vicenda la giusta atmosfera gotico-decadente in grado di valorizzarne gli aspetti metaforici e psicologici. La storia è apparentemente semplice, ma si arricchisce subito di spunti e sottotrame interessanti. (...) Francis riesce a dare al film un'aura genuinamente macabra, attraverso una cura particolare della fotografia - splendida, di Norman Warwick - e della scenografia e una qualità uniformemente elevata della messa in scena. In particolare, dal momento in cui Christopher Lee ruba lo scheletro preistorico a Peter Cushing si ha un perfetto crescendo realizzato attraverso parecchie scene di forte carica evocativa: la rincorsa nella notte tra alberi frondosi e incombenti sotto una pioggia sferzante che per lo spettatore ha molti significati; le inquadrature dell'essere resuscitato visto in lontananza con il nero mantello che Lee, in un simbolico (e metacinematografico) passaggio di consegne, gli ha messo addosso sono splendidamente macabre, come pure è efficace la fuga di Peter Cushing che, sapendo di essere inseguito dal mostro, si rifugia nella stanza dei suoi ricordi cercando di rifiutare il presente tuffandoso nel passato. Anche qui, come in Horror Express, l'essere demoniaco risvegliato dal sonno di secoli (o millenni) è un'enigmatica impersonificazione di un Male totalmente alieno e superiore alle miserie umane, vicino alla cosmogonia lovecraftiana. Francis ricerca la finezza espressiva e non si lascia sopraffare - se non in rari casi - dal facile sensazionalismo anche nell'ottima scena in cui il mostro si approssima alla casa di Hildern proiettandovi sopra la sua gigantesca ombra e facendo risuonare all'interno il suo battere calmo e deciso - e perciò ancora più inquietante - alla porta. Il personaggio di Emmanuel Hildern è il più approfondito del film e la sua complessità psicologica è decisamente insolita in un horror di quel periodo. Il carattere egoista e paternalista che si cela sotto la superficiale patina di buonismo e positività è suggerito più volte e Cushing approfitta della buona sceneggiatura per disegnare con sapienza uno dei personaggi più riusciti della sua carriera. (...) Purtroppo, il film - sottile, elegante e inquietante - viene accolto male dal pubblico, che diserta le sale dove viene proiettato, considerandolo un ormai fuori tempo cascame dell'horror gotico, troppo tradizionale per attirare spettatori."
(Fabio Zanello) [4]
"Emmanuel Hildern è un personaggio molto più fragile del dottor Wells interpretato sempre da Cushing in un Horror Express. La sua curiosità scientifica opprimente e quasi infantile lo porta a fare ipotesi frettolose e pericolose, distruggendo alla fine la cosa che gli è più cara, la figlia, che lui fa impazzire. Cushing e Lee hanno poche scene insieme e, sebbene lavorino bene, qui ci sono pochi dei loro grandi duetti presenti nel film precedente. James Hildern appare come un freddo intellettuale i cui brutali esperimenti sono motivati solo dall'avidità per il denaro e il prestigio. Il suo sorriso di trionfo compiaciuto chiude una storia caratterizzata da sfumature nello stile di una pura tragedia shakespeariana."
(Luigi Cozzi) [5]
"Raffinato, complesso, psicologicamente articolato, con una sceneggiatura piena di spunti interessanti e di sfumature, il film è il capolavoro di Freddie Francis che, al servizio di una storia che gli permette di creare una cupa atmosfera gotica e macabra, dispiega al meglio le sue qualità visuali e di fine narratore. La rincorsa finale nella notte tra alberi frondosi e incombenti, sotto una pioggia sferzante dai molti significati, le inquadrature dell'essere resuscitato il lontananza con il nero mantello sono splendidamente macabre e fanno da contraltare psicologico alla fuga di Emmanuel Hildern che, sapendo di essere inseguito dal mostro, si rifugia nella stanza dei sua ricordi cercando di rifiutare il presente. Il personaggio interpretato da Cushing è molto sfaccettato e il suo carattere egoista e paternalista è suggerito con efficacia. Molto azzeccata la scena in cui ricorda la moglie, facendo sorgere il dubbio che egli l'abbia mandata in manicomio perché stanco dei suoi continui tradimenti. Molto interessante l'interpretazione dell'esordiente Lorna Heilbron, nei panni della figlia 'pazza', il cui intenso sguardo dagli occhi azzurri conferisce stranezza anche alle situazioni normali dando gradualità e credibilità al suo cambiamento: anche qui si suggerisce abilmente il sospetto che la sua 'caduta' nella pazzia sia solo immaginata dal padre come reazione ai suoi comportamenti sessualmente liberi. La fotografia di Norman Warwick è splendida e rende con i suoi colori sfumati tutto il romanticismo gotico di un'età vittoriana creata più con le suggestioni che con le scenografie."
(Rudy Salvagnini) [6]
Il terrore viene dalla pioggia: flano pubblicitario
Visto censura [7]
Il terrore viene dalla pioggia ottiene regolare nulla osta n. 62973, in data 11 agosto 1973, passando in versione integrale ma con divieto di visione ai minori di anni 14.
Metri di pellicola accertati: 2520 (circa 92'30" a 24 fps).
NOTE
[1] "Il Lord del brivido", a cura di Fabio Giovannini (Shatter edizioni), pag. 259.
[2] "Storia del cinema dell'orrore", vol. 2, tomo 1° (Fanucci editore), pag. 200.
[3] "Peter Cushing e i mostri dell'inferno" (Falsopiano), pag. 142 - 164 - 165.
[4] "Christopher Lee - Il principe delle tenebre" (Profondo rosso edizioni), pag. 38 - 39.
[5] "Peter Cushing - Dalla Hammer a Guerre stellari" (Profondo rosso edizioni), pag 227.
[6] "Dizionario dei film horror" (Corte del Fontego), pag. 704.
[7] Dal sito "Italia Taglia".
"Ho sempre cercato di inserire elementi di tristezza e solitudine in tutti i personaggi gotici che ho interpretato, perché lo trovo originale. È inaspettato e se si ottiene la simpatia del pubblico, si crea un impatto molto maggiore quando si commettono atti che potrebbero essere considerati distruttivi o malvagi. Dicono: 'Poverino, non voleva farlo davvero. Non aveva scelta'. L'ho chiamata 'la solitudine del male' e penso sia la verità. Provo sempre a dare questi elementi di tristezza e interpreto i personaggi cattivi con un leggero tocco di malinconia o di compassione. Dracula non è esattamente un personaggio che suscita compassione, ma c'è in lui una terribile e cupa tristezza. Non vuole vivere, ma deve, non vuole proseguire un'esistenza da non-morto, ma non ha scelta".
(Christopher Lee)
Trailer
F.P. 27/05/2023 - Versione visionata in lingua italiana - DVD (cut) Mosaico (durata: 85'03")
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