Regia di Wim Wenders vedi scheda film
La prima sensazione, alla visione de L'amico americano, è che Wenders si sia un po' montato la testa. Cioè, che dopo una manciata di pellicole di assoluto valore (Nel corso del tempo, Alice in città, La paura del portiere prima del calcio di rigore), ma budget ridotto e produzione esclusivamente orientata al mercato tedesco, alla prima occasione di lancio internazionale, il regista si sia sentito in dovere di sfondare, di realizzare un'opera magniloquente, accattivante per il grande pubblico. Eppure Wenders è sempre Wenders: le atmosfere cupe, i personaggi inquieti e irrisolti, il senso di arresa, di una realtà sfuggente che percorre le loro azioni è sempre il medesimo dei precedenti lavori, è incancellabile, fa parte del suo dna artistico; d'altra parte però il regista e sceneggiatore (da un romanzo di Patricia Highsmith) ce la mette tutta per dare vita a una pellicola in cui lo spettatore possa trovare azione, sentimenti, battute a effetto (il personaggio di Dennis Hopper, Tom Ripley, ne è un concentrato), violenza e quant'altro possa incatenarlo allo schermo. Insomma, uno scimmiottamento chiaro e tondo del genere noir, un film volutamente all'americana forse per innovare, ampliare, de-generare il filone: e se si vuole vedere L'amico americano da questa prospettiva, l'esperimento è in gran parte fallito. Anche perchè Wenders, che modifica parecchio il testo di origine, ha un atteggiamento sempre molto reverenziale nei confronti del cinema americano; una soggezione confermata dal cast, nel quale compaiono registi statunitensi del calibro di Samuel Fuller e Nicholas Ray (a cui Wenders dedicherà Lampi sull'acqua, il suo prossimo film). Fra gli altri interpreti è giusto citare la buona prova del protagonista Bruno Ganz, così come la presenza di Gerard Blain e, in piccoli ruoli, di Lou Castel e probabilmente del regista stesso, accreditato nella parte di un uomo bendato dalla testa ai piedi su un'ambulanza, e in quanto tale irriconoscibile. Belle le musiche, a tratti morriconiane (enfatiche, ricche di archi), di Jurgen Knieper. 5,5/10.
Jonathan, corniciaio di Amburgo, è minato da una malattia mortale. Uno strano personaggio, trafficone d'arte americano, gli propone un affare: un mucchio di soldi, per lasciare un'eredità ai suoi cari, in cambio di un omicidio. Jonathan si improvvisa così killer, vola a Parigi, compie il delitto eppure non è ancora finita per lui.
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