Regia di John Guillermin vedi scheda film
La “torre di cristallo”, enorme grattacielo dalla struttura moderna e avveniristica, svetta nel centro di San Francisco con i suoi 138 piani e i suoi 550 metri di altezza. Per salutare la sua inaugurazione, viene organizzata una grande festa con più di trecento invitati, tutti radunati in una faraonica sala situata all’ultimo piano. Peccato che, per risparmiare sui costi, non siano stati rispettati i parametri di sicurezza riguardanti l’impianto elettrico, ed un piccolo cortocircuito elettrico causi in brevissimo tempo un imponente incendio all’ottantunesimo piano. La torre di cristallo diventa così un inferno infuocato, e la lotta per la sopravvivenza coinvolge un gruppo di eterogenei personaggi: l’architetto dell’edificio Doug Roberts (Paul Newman), in procinto di partire per il deserto insieme alla fidanzata Susan (Faye Dunaway); l’eroico capo dei pompieri O’Halloran (Steve McQueen), disilluso uomo d’azione che parla poco ma in modo tagliente (“Lo sanno tutti che non abbiamo un modo sicuro di combattere un incendio oltre il settimo piano, ma voi continuate tranquillamente a fare grattacieli!”); l’imprenditore e proprietario della torre Jim Duncan (William Holden), la cui figlia (Susan Blakely) ha sposato il losco e disonesto ingegnere Roger (Richard Chamberlain); l’anziano Harlee (Fred Astaire), recatosi lì per truffare una facoltosa signora (Jennifer Jones); l’addetto alle pubbliche relazioni Dan Bigelow (Robert Wagner), che ha una tresca con la segretaria; e tanti altri.
L’inferno di cristallo si inserisce nel prolifico filone dei film catastrofici, inaugurato da Airport nel 1970, genere destinato ad esaurirsi nel giro di un decennio per poi tornare preponderante ai giorni nostri. La formula è semplice e rispetta pienamente le regole: cast stellare, grandi effetti speciali e storia ansiogena che coinvolge un nutrito gruppo di personaggi. L’idea è del produttore e regista Irwin Allen, che si assume la responsabilità di girare le sequenze di azione lasciando a John Guillermin la regia delle parti recitate. La sceneggiatura viene affidata al veterano Stirling Silliphant, che amalgama bene i due romanzi The Tower e The Glass Inferno. Il risultato è buono, e rappresenta molto probabilmente, ancora oggi, il miglior esempio di questo spettacolare genere. Allen e Guillermin coniugano benissimo la tensione con l’approfondimento psicologico e la coralità del racconto, ricorrendo spesso alle sottotrame tipiche del melodramma. Certamente non si fa fatica ad evidenziare ingenuità ed incongruenze nella trama, ma non è facile trovare un film la cui tensione rimanga altissima e palpabile per tutte le due ore e mezza di durata e che metta così empaticamente in scena il panico dei personaggi. Tra le tante sequenze che non si dimenticano, vanno ricordate almeno quella della morte dei due amanti rimasti isolati dai soccorsi e l’esplosione dei serbatoi d’acqua nel pirotecnico finale. Il cast è superbo: le due superstar Newman e McQueen duellano in una gara di eroismo e di inquadrature, Holden è bravo nel ruolo dell’antipatico capitalista, Faye Dunaway contorna il suo ruolo con classe e bellezza, Jennifer Jones regala la sua ultima interpretazione prima del ritiro dalle scene, Robert Wagner e Robert Vaughn sono solidi caratteristi, ma il premio spetta al vecchio Fred Astaire, nominato all’Oscar per la prima volta nella sua carriera, e che per qualche secondo torna malinconicamente a danzare con la sua inimitabile leggerezza.
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