Regia di John Guillermin vedi scheda film
La “mania” dei disaster-movie degli anni’70 raggiunse il suo apice con The Towering Inferno, conosciuto in Italia con il titolo de L’Inferno di Cristallo, uno dei massimi film catastrofici della storia che poteva contare su un cast enorme costellato da moltissime star (alcune sul viale del tramonto), effetti speciali all’avanguardia e acrobazie spettacolari (per l’epoca) grazie a un gigantesco dispendio di soldi ed effetti speciali per quello che sarebbe diventato il più grande successo dell’anno.
Ci vollero più di 14 milioni di dollari per realizzare il film e la collaborazione di ben due case di produzione, la Warner Bros. e la 20th Century Fox, per la sua gestazione ma la pellicola ottenne un grandissimo successo al botteghino oltre a ben otto candidature all’Oscar vincendone tre (per la Miglior fotografia, Miglior Montaggio e Miglior canzone) e a un Golden Globe (su tre candidature) sempre per la splendida fotografia di Fred Koenekamp & Joseph Biroc.
Prototipo e senza ombra di dubbio uno dei pilastri, insieme a L’Avventura del Poseidon (1972), del filone “catastrofico” inaugurato nel 1970 dall’Airport di George Seaton, L’inferno di Cristallo fu tratto (caso più unico che raro) da ben due romanzi diversi, The Glass Inferno di Thomas M. Scortia & Frank M. Robinson e The Tower di Richard Martin Stern, combinati in una sola sceneggiatura da Stirling Stilliphant per la regia “ufficiale” di John Guillermin (nel ’76 regista del King Kong di Dino De Laurentiis) anche se tutte le scene d’azione, ovvero quasi due terzi della pellicola, furono dirette dal produttore Irwin Allen (L’Avventura del Poseidon) e con l’ottima colonna sonora di John Williams (che l’anno dopo avrebbe vinto l’Oscar per le musiche de Lo Squalo di Steven Spielberg), The Towering Inferno presenta un’impeccabile realizzazione tecnica e artistica ad alto tasso di spettacolarità oltre ad essere un capolavoro di coordinamento tra gli stunt e gli effetti speciali, nonostante i suoi 160 minuti regge bene il ritmo e la storia non annoia quasi mai, pur con alcune scene che potevano anche essere tagliate e che servono soprattutto a giustificare la presenza di certi attori di grido nel cast o a qualche mancanza della sceneggiatura, come alcuni dialoghi non particolarmente ispirati (o a volte troppo retorici), qualche intreccio solo abbozzato e a qualche cliché di troppo.
Nela vicenda vengono infatti inseriti tutti gli elementi chiave per un buon disaster-movie, dall’eterna lotta tra personaggi buoni e cattivi la cui indole viene messa a nudo dalla situazione estrema ai diversi protagonisti ognuno dei quali rappresenta una sua particolare personalità, dall’uomo che cerca di contrastare a fatica la forze della natura fino alle numerose storie d’amore che vi vengono proposte, tutti particolarità indispensabili per portare avanti la narrazione ma nonostante tutto per tutta la durata del film si ha sempre l’impressione di trovarci davanti a qualcosa di realistico e non privo di una sua morale, per quanto drammatica e/o esasperata per motivi di spettacolo.
Ma il vero punto di forza del film rimane comunque negli attori coinvolti nella sua realizzazione.
A partire dalla coppia Paul Newman, nelle vesti dell’architetto che ha progettato il grattacielo, e l’altrettanto convincente Steve McQueen, nei panni invece dell’eroico capitano della squadra dei pompieri, e anche se lontani dalle loro migliori interpretazioni è innegabile che l’intera pellicola si regge (quasi) completamente sule loro spalle.
A fare da cornice alle due super-star (la leggenda dice che, in competizione tra loro, siano stati stipulati contratti ad hoc che quantificavano la loro presenza sullo schermo, il numero delle battute e situazioni eroiche spettanti ad uno e all’altro in modo che ognuno non superasse l’altro per protagonismo) un gran numero di comprimari su cui spicca il nome di Fred Astaire (candidato per la prima volta all’Oscar come miglior attore non protagonista probabilmente cogliendo al balzo l’occasione per una candidatura che il passare del tempo rendeva sempre più complicata) e proseguendo con Jennifer Jones (alla sua ultima apparizione prima del suo precoce ritiro dalle scene cinematografiche), Faye Dunaway (bellissima, brava ed elegante ma anche abbastanza inutile), William Holden (probabilmente il migliore del gruppo), Robert Wagner, Susan Blakely, Richard Chamberlain, Robert Vaughn e O.J. Simpson (qui al suo debutto cinematografico).
E per quanto al pubblico di oggi possa essere difficile comprendere di quanto quel film potesse essere un vero evento in quegli anni L’Inferno di Cristallo era invece qualcosa di completamente nuovo da vedere al cinema non solo riguardo a un grande spettacolo di effetti speciali ma anche per un parata di così tante stelle in una sola pellicola inseguendo quel modello di grandeur cinematografica, molto legata a quel particola periodo cinematografico (ovvero il declino di un cinema troppo classico in favore della cosiddetta New Hollywood di cui i disaster movie altro non erano che un tentativo di resistere al nuovo che avanzava), che il capostipite Airport aveva stabilito e che i film successivi (Terremoto, Valanga, Meteor) avrebbero seguito ancora per diversi anni.
Oggi ha perso parte del suo impatto, ovviamente, e potrebbe suonare prolisso ed eccessivamente drammatico per i nostri canoni ma questa era la norma per la maggior parte del filone catastrofico e che successivamente in molti hanno cercato di emulare e/o di riportare in vita senza mai riuscirci davvero (vero Roland Emmerich?).
VOTO: 7,5
P.s. Nell'esilarante parodia a fumetti di MAD, quando Newman chiede a Holden “Perché non hai risparmiato in altri modi, anziché farlo sul sistema elettrico?” l'altro risponde: "L'ho fatto! Hai mai contato i piani di questo palazzo? È l'unico palazzo al mondo di 132 piani che ne ha solo 97!"
… cos’altro aggiungere?
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