Regia di Otar Ioseliani vedi scheda film
Vincent (Séverin Blanchet) viene esautorato dal suo incarico di ministro e nel contempo scaricato dalla sua amante Odile (Salomé Bedine-Mkheidze), una donna bella e spendacciona che rimane al suo posto nella bella dimora accanto al nuovo ministro. Per Vincent però le cose sembrano andare meglio dato che recupera il gusto dei piccoli piaceri della vita come quello di immergersi in sostanziose bevute con gli amici ritrovati.
Otar Iosseliani continua la sua particolare disamina della nostra modernità con suo stile imbevuto di salutare anarchismo. E' un regista assolutamente fuori da ogni schema Iosseliani per il quale, più di ogni altro probabilmente, è richiesto un buon approccio propedeutico prima di avvicinarsi a uno qualsiasi dei suoi film. La "pesantezza" del suo modo di fare cinema non risiede tanto nella verbosità della struttura narrativa quanto nell'essenzialità di uno stile che tende talmente al minimo consentito da rasentare l'assolutamente vacuo. Nei suoi film si ha sempre la sensazione che non succeda nulla quando invece sono sempre una perfetta cerimonia iconoclasta, una tavola imbandita contro ogni forma di perbenismo burocratizzato inscenato per contrasto attraverso la sagace rappresentazione del leggero fluire delle gionate di perfetti "flaneur" cittadini. In "Giardini in autunno" viene rimarcato l'atteggiamento irriverente nei riguardi della morale borghese (che a ragione fa parlare di assonanze col Bunuel ultima maniera) secondo uno schema tanto caro al regista georgiano: da una parte i gestori del potere costituito immersi nella volgare attitudine della conservazione delle loro posizioni sociali e dall'altra parte il mondo degli outsider sociali, di quelli a cui sembra bastare una bella bevuta tra amici per stare in pace con il mondo. Vincent sta in mezzo al guado e sotto l'ala protettrice della madre (un'irriconoscibile e strepitoso Michel Piccoli) procede con fare claudicante in mezzo a una moltitudine di stramberie messe li senza nessun motivo apparente, a cose che si vedono e succedono senza che ve ne si senta la reale necessità. Oggetti che vengono spostati di continuo (c'è il peregrinare senza posa di una statua), animali di ogni specie (si notano puma, elefanti, cinghiali, cervi, volatili) e persone che compaiono per poi non rivedersi più (chi sono quelle persone anziane che all'inizio del film parlano davanti ad una bara?), danno corpo a un'universo straniante e poetico insieme, a una polifonia di segni di astuta maestria. Questi agenti "alieni, che rappresentano una costante del cinema di Iosseliani, a me hanno sempre dato l'idea di un segno di discontinuità con il corso lineare degli eventi, un voler rompere il legame tra ciò che si vede e ciò che si intende affermare, e che evidentemente rappresenta il marchio distintivo del suo spirito anarcoide. Il tocco di classe di un maestro delle piccole cose.
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