Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Con un inizio scioccante, che paragonerei alla rapatura di "Full Metal Jacket", si viene immersi in un universo a parte, con le proprie regole e i propri rituali, che è quello della naia, oggi fortunatamente sospesa. E Bellocchio ci fa assistere al romanzo di formazione alla rovescia del soldatino Paolo Passeri (Placido), laureato del sud, che intravede nella carriera militare un possibile sbocco ad un destino di rassegnata disoccupazione. E con lui tante altre reclute sono costrette a subire le angherie dei "nonni" e le furbate dei graduati, primo tra tutti il frustratissimo capitano Asciutto (Nero). Il regista non ci risparmia niente delle sgradevolezze del cosiddetto servizio di leva: dalla sentinella sorpresa dall'ufficiale a masturbarsi ai gavettoni di merda, dalle scopate con le prostitute ai nonni che danno fuoco alle scorregge. Attraverso tutto questo, Passeri diventa uno dei migliori allievi del corso (se fossimo in America, si direbbe una macchina per uccidere), tanto da diventare l'occhio diritto del capitano, ma anche da isolarsi dai commmilitoni. Il film funziona sul doppio versante della critica all'istituzione militaresca e a quello di una doppia nevrosi (quella dell'ufficiale e quella del soldatino), che si sviluppa al contatto con una delle istituzioni più assurde e retrive della nostra società. Il film funziona meno quando si trasferisce sul piano privato, dove il capitano ha le sue belle gatte da pelare con la moglie, cleptomane e ninfomane, ma soprattutto assetata di libertà. Ed è proprio lei, comunque, a fornire la chiave di lettura di tutto il film, quando definisce il marito-ufficiale intimamente fascista: è questo fascismo dell'animo che permea ancora oggi troppe caserme (dell'esercito e non), con quel suo voler plasmare le vite di troppi ragazzi, con la spinta all'omertà e alla delazione, che contribuiscono ad abbassare la media della moralità di un paese che già di per sé non fa della legalità una delle proprie bandiere.
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