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A Est di Bucarest

Regia di Corneliu Porumboiu vedi scheda film

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La recensione su A Est di Bucarest

di Peppe Comune
8 stelle

Emanoil Piscoci (Mircea Andreescu) è un anziano vedovo che un tempo si travestiva da Babbo Natale. Tiberiu Manesco (Ion Sapdaru), invece, è un professore di storia dedito all'alcol e oberato di debiti. Virgil Jderescu (Teodor Corban), infine, è il proprietario della locale stazione televisiva. E' il 22 di dicembre e i tre si accingono a trascorrere il natale ognuno a modo proprio. Ma è anche il sedicesimo anniversario della fine della dittatura di Ceaucescu ed è questo evento storico a far si che le vite dei tre personaggi si incrocino. Nel talk show di Jderescu, Piscoci e Manescu sono invitati per dare la loro testimonianza su quel 22 dicembre del 1989 e aiutare a risolvere un dilemma che ossessiona (?) da anni il conduttore: fu vera rivoluzione ?

 

 

Umorismo e malinconia vanno a braccetto in questo piccolo grande film rumeno. Se nella prima parte Corneliu Porumboiu pedina i personaggi e le loro vite scalcinate e non mancano i momenti esilaranti, nella seconda inizia a fare sul serio e proietta verso l'esterno la perdita della memoria storica di un popolo che evidentemente aspetta ancora i frutti di quella sedicente rivoluzione. Ceaucescu era il male della Romania ma adesso che non c'è più può ben diventare l'oggetto di una trasmissione televisiva in cui ognuno può raccontare a suo modo come andarono le cose che portarono alla fine della sua dittatura. Sembra un gioco a cui tutti sembrano prestarsi ben volentieri, ognuno con un proprio interesse da perseguire. "A est di Bucarest" è un film sulla seria questione di come costruire un'identità nazionale attraverso il riconoscimento di una storia largamente condivisa e sulla parallela difficoltà di giungere a ciò in un tempo dominato dall'invadenza del mezzo televisivo, un'occhio che fa ammalare di egocentrismo chiunque entri nella sua orbita, che altera il percepibile e mistifica il dimostrabile. Ma il film non si fa mai serio nel senso che è la leggerezza dei toni a prevalere sulla pesantezza dei contenuti, il sarcasmo sulla verbosità, come a sottintendere che c'è una povertà di oggi più pressante della dittatura di ieri, chiaramente più intrisa nel contingente. Ottimi gli attori così come la fotografia che rende bene l'idea di un paese che aspetta ancora la sua rivoluzione progressiva. Assente la colonna sonora. Per sentire meglio i silenzi. O l'ordine in cui si accendono i lampioni (si veda il film !). Un prodigio di amara ironia.

 

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