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La commedia del potere

Regia di Claude Chabrol vedi scheda film

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La recensione su La commedia del potere

di hupp2000
9 stelle

Settima e felice collaborazione tra Claude Chabrol e Isabelle Huppert. Da riscoprire perché è tutt'altro che uno "Chabrol minore". Sarcastico e ironico. Lo raccomando vivamente-

A costo di apparire ripetitivo, ribadisco che Claude Chabrol è per me il regista che meglio di chiunque altro ha saputo valorizzare il talento e l’inquietante carisma di Isabelle Huppert. Questo film non fa che corroborare la mia opinione. L’attrice veste i panni di Jeanne Charmant Killman, il giudice istruttore cui è stato affidato un intricato caso di concussione e finanziamenti illeciti che vede coinvolto il presidente di un importante gruppo industriale. Con il progredire dell’inchiesta, la giudice vede accrescere il suo potere e ne prova una segreta ebbrezza, che la rende ancor più determinata nel compiere la sua missione. Ha però di fronte a sé una classe industriale, finanziaria e politica non meno ebbra di quel potere e altrettanto determinata nel difendere i propri privilegi. Sono maschi e sono tanti, disposti a tutto pur di impedire lo smantellamento di una rete affaristica che, a ben vedere, soddisfa tutti erigendosi a sistema. Nel redigere la sceneggiatura a quattro mani con la fedelissima Odile Barski, Claude Chabrol si ispirò volutamente all’allora celebre “Affaire ELF”, uno scandalo che nel 1994 sembrò dovesse dare il via anche in Francia ad un’operazione “mani pulite”. Nessuno avrebbe potuto interpretare meglio di Isabelle Huppert il ruolo di una giudice algida e caparbia, ossessionata da quella che considera una missione etica e salvifica. Diciamolo pure: il personaggio è decisamente antipatico e qui sta la grandezza di Chabrol. Lungi dal contrapporre una banda di potenti affaristi corrotti e disonesti ad una eroina senza macchia e senza paura, il regista mette in risalto l’umana debolezza di chiunque si lasci sedurre dall’ebbrezza del potere evocata nel titolo originale. Perno del film sono ovviamente l’impeccabile interpretazione della protagonista e lo scorrere rapido dei dialoghi tra quest’ultima e i suoi blindati interlocutori. E’ cinema costruito sulle parole e le espressioni dei volti, quello che invita lo spettatore a prendere posto tra i personaggi, un genere nel quale, secondo me, i Francesi non conoscono rivali.

Alla sua settima prova sotto la direzione di Claude Chabrol, Isabelle Huppert è circondata da alcuni tra i più fedeli attori del regista, da Robin Renucci (in “Masques” nel 1987) a Jean-François Balmer, già marito della Huppert nel “Madame Bovary” del 1991. Esordiscono invece con il cineasta figure notevolmente popolari in Francia e non solo, quali François Berléand e Patrick Bruel, nonché la bravissima Marilyne Canto, in un ruolo tutt’altro che secondario. Viene infatti affiancata alla giudice Charmant Killman (un secondo cognome che è tutto un programma) per volontà di qualcuno nelle alte sfere, con l’intento di indebolire l’inchiesta grazie alla inevitabile rivalità che non potrà non nascere tra le due donne. Intento che le stesse comprendono al volo, ragion per cui decidono di collaborare più strettamente che mai. Chi la fa l’aspetti, come si usa dire…

Anche se meno conosciuto di molti altri, non è assolutamente un film minore del grande regista. L’assenza quasi totale di azione o scene spettacolari non inficia in alcun modo una vicenda raccontata con lodevole chiarezza, impresa non facile per i temi giuridici, politici ed economici che vengono sollevati ed affrontati. Claude Chabrol era proprio un gran narratore. Isabelle e i suoi nobili satelliti fanno il resto. Inizialmente, il regista avrebbe voluto intitolare il film “La comédie du pouvoir”, titolo già utilizzato per un romanzo di Françoise Giroud pubblicato nel 1977. Così, Chabrol optò per “L’ivresse du pouvoir”. Non so se sia accaduto per caso o per eleganza, ma per una volta il titolo italiano restituisce la scelta originaria dell’autore.

 

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