Regia di Michael Mann vedi scheda film
Per catturare i trafficanti di droga bisogna fingersi dei loro e fare quello che fanno loro. O no?
*** CONTIENE ANTICIPAZIONI *** Devo dire che anche questa volta Michael Mann non mi ha deluso. Non guardavo i telefilm di Miami Vice, ma il film mi ha convinto. Infatti ha un buon ritmo, una tensione costante e non è mai banale o stereotipato.
La pellicola presenta alcuni spunti di sicuro interesse. Uno è la rappresentazione dell'ambiente dei trafficanti di droga, un mondo di individui spietati, per i quali la vita umana non vale alcunché, foss'anche quella dei loro complici. Il personaggio più incisivo è forse quella del capo supremo del clan, al quale basta una parola per comandare su decine di malviventi. La banda è una specie di comunità che sta assieme per reciproca convenienza, ma dove ci si odia a vicenda e ci si mette pochi secondi a uccidere il proprio complice. In una scena ciò avviene senza che lo spettatore sappia il perché, e con la massima naturalezza. Il motivo però non è importante, visto che è significativa solo la facilità con cui avviene l'esecuzione. Ciò che conta è solo il denaro, averne il più possibile, e alle volte il sesso. Fa venire i brividi anche il trafficante rasato che tiene le comunicazioni con i poliziotti.
Quanto alla rappresentazione dei poliziotti, se da una parte sono molto abili, intelligenti e atletici, non si può parlare di loro come eroi del bene in lotta contro il male. Per raggiungere il loro obiettivo, infatti, scendono a pesanti compromessi con i trafficanti di droga. Per riuscire ad infiltrarsi, si mettono praticamente a fare il loro stesso sporco lavoro e a scendere quindi sul loro piano. Se il male è assoluto e riconoscibile, il bene è sfumato, incerto, confuso tra i compromessi, gli inganni e i metodi non sempre puliti. Ciascuno dei poliziotti, inoltre, e la donna di uno dei due, sono per certi aspetti ambigui e non rassicuranti. Ad esempio la donna, dopo la liberazione, al posto di ringraziare e mettersi in salvo, fa una scenata di odio verso i suoi aguzzini già morti che apparte alquanto inopportuna. La vittoria finale non ha l'effetto liberatorio del compimento dell'impresa e non dà la soddisfazione di aver debellato il male. Ci si consola sì, ma con l'amaro in bocca. Anche perché per l'amore non c'è posto (o non si vuole fargliene). A proposito, ho trovato interessante anche il personaggio di Gong Li, una donna di ghiaccio che si scioglie suo malgrado quando incontra l'amore.
Michael Mann è uno che tratta argomenti usurati e abusati da un diluvio di film e di serie TV; solo che mentre quelli lo fanno in modo piatto e grossolano, lui lo fa con intelligenza e talento. Francamente non capisco certe stroncature lapidarie di altri utenti. Mentre potrei facilmente accettare che trovino difetti al film e che li argomentino, non comprendo come si possa renderlo oggetto di lancio di ortaggi, manco si trattasse di un titolo del diluvio sopra citato.
Va paragonato a "Vivere e morire a Los Angeles" di William Friedkin - che per me tuttavia vince in fascino - per più di un aspetto comune.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta