Regia di Michael Mann vedi scheda film
Dispiace la trascuratezza di Michael Mann per il suo soggetto, così conformistico da invocare l'aiuto di un eccellente sceneggiatore in grado di eliminare o risolvere i piccoli ma fastidiosi difetti congeniti. Alla stessa maniera dei polar precedenti, c’è uno stonato happy end (era la parte peggiore in Collateral ed Heat), addirittura con la condivisione cameratesca e senza nessuno strascico della fuga del vice boss Gong Lì (per evitare di sfiorare il bengodi, sarebbe bastata forse un'allusione ai probabili esiti penali per Sonny, od all'inevitabile vendetta di Montoya verso Isabella). Consueta anche la riproposizione di un clichè del genere, la passione fra il bellissimo ganzo e la dark-lady (colpo di fulmine frettolosamente inverosimile con successivo, usuale, sviluppo). Al regista statunitense, intenzionalmente, non interessano tali argomenti e la trama restante, peccato che ove si affrontino determinate tipologie di storie ciò si traduca in una sola parola: formalismo (all'opposto, Lynch è ammirevolmente coerente nella drastica scelta di un estetismo antinarrativo). Ugualmente lapalissiana è la qualità stratosferica del formalismo manniano! L’autore filma divinamente e si conferma un maestro della settima arte. Nessun contemporaneo sa creare sequenze sensorialmente straordinarie tramite tagli di inquadratura, senso del montaggio, musiche ed effetti sonori, donando all'insieme un calibrato pathos (da brividi la scena dei fuoribordo sull'acqua scura del porto, sotto le emozionanti note di John Murphy). Inoltre, sebbene sia un marchio doc, la stupenda fotografia notturna sorprende ancora una volta, distinguendosi per innovativi particolari cromatici, figurativamente impressionanti. Mann si fa attrarre dall'esercizio di stile senza puntare ad un livello concettuale più alto. Occasionissima mancata.
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