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Miami Vice

Regia di Michael Mann vedi scheda film

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La recensione su Miami Vice

di Spielbergman
8 stelle

Quando si ha davanti un film di Michael Mann, il critico ha una grossa responsabilità. Deve capire che Mann non è un narratore tradizionale, bensì un esteta, un regista a cui piace che il film “parli da solo” risvegliando nello spettatore ogni senso, e tenendolo sempre allerta. Il film diventa un’esperienza, qualcosa di interiore. Non tanto per il contenuto, quanto per la forma, per la velocità, per le inquadrature. Poi, c’è da dire che Mann è l’artefice di alcuni dei più bei drammi del cinema americano contemporaneo, capaci di straziare l’anima e il cuore degli spettatori. Mi riferisco naturalmente a quelli che sono i suoi film che preferisco: “Collateral”, “Heat-La Sfida” e, all’infuori del poliziesco, “Insider”. Ora, “Miami Vice” non raggiunge le vette di “Collateral” e “Heat”, veri e propri capolavori del genere noir. È un film elegante, potente, ma anche imperfetto, carico di un pesante romanticismo che risulta quasi barocco e di un action estremo e sanguinolento: cose mai viste in Micheal Mann. Il grande autore aspettava da anni di poter dirigere un film tratto dalla fortunata serie TV che ha plasmato un’intera generazione, con storie ricche di fascino e di azione, ma anche esilaranti, “leggere” e per nulla sobrie. Quando finalmente ha avuto in mano il progetto, Mann ha trasfigurato la sua epopea, così divertente, dai toni leggeri e romantici, in un universo cupo, violento e del tutto crepuscolare. I poliziotti di questo nuovo “Miami Vice” non hanno coccodrilli-giocattolo, non vestono sgargianti abiti anni ’80, non sono “trendy”, bensì “cool”. Anzi, non sono neppure negli anni ’80, ma in una modernità che regge le sue basi sull’elettronica, l’informatica, lo spionaggio e i mezzi di trasporto più sofisticati. Rico non ha più l’aspetto da bravo ragazzo afroamericano, ma di un gigante con folto pizzo e occhi di cristallo, violento, scatenato e passionale; Sonny non è più il Van Johnson che faceva impazzire le ragazze con un fisico da schianto e aria da “buono”, bensì il Colin Farrel più truzzo e “fisico” che si sia mai visto, con criniera e baffi biondi e che và in servizio in canottiera e jeans, sudato dalla testa ai piedi. I due nuovi detective sono animali da caccia spietati, veloci e infallibili, cinici e complessati. E ciò che è peggio è che sanno di esserlo, sanno che attraverso il loro lavoro cambieranno vita, dovranno mentire, tradire e non potranno mai seguire il loro istinto. Che succede, però, quando l’amore si mette in mezzo? Succede che Mann si scatena, e fa i conti con le due anime che convivono in lui (“durezza” e “romanticismo”). Il romanticismo e il fascino di Miami e della Florida sono rimasti inalterati sotto l’high-tech e la modernità (“cool”, “duri”), con una vena passionale onnipresente e sempre manifesta, sino all’eccesso. Classici momenti del cinema anni ’80, impensabili, ad esempio, in “Heat” (opera “cruda”, del tutto nera, esistenziale, “pesante”), sono qui invece presenti in abbondanza, e convivono con il nero della fotografia e delle immagini, con la velocità dei movimenti (non solo quelli della camera, ma anche, soprattutto, degli eroi della storia e del racconto stesso). Ne esce fuori un film estremamente eterogeneo, romantico, barocco e violento: tutto insieme, in un universo che stordisce lo spettatore, non gli dà tregua, mettendo due antieroi tipicamente anni ’80 a confronto con cattivi crudeli, violenti, senza scrupoli, mentre le loro donne, fragili e bellissime, osservano da lontano e sono costantemente in pericolo. Il risultato è particolare, strano, a tratti irritante, perché fonde l’azione più vorticosa ed estrema con la professionalità e la “pacatezza” del Mann regista. Ma alla fine, siamo sicuri che Mann non volesse proprio questo effetto? Siamo sicuri che “Miami Vice” sia veramente imperfetto o eterogeneo? E se fosse stato proprio Mann a volerlo così? Ed è proprio così che stanno le cose, per me: Mann crea un flusso di immagini e sentimenti “romantici”, di musiche, spari, urla e sangue che non dà tregua, investe e spazza via. “Miami Vice” è un action-movie, a differenza di “Heat” e “Collateral”: è un film che cerca la velocità, il contatto fisico, la forza bruta, lo scontro fra sentimento e muscoli, fra amore e odio, in una Miami enorme, elegante, desolata. Mann crea il film d’azione più vero e più onesto negli ultimi anni, proprio perché è fra le sue dita che l’“azione” dei personaggi e quella della macchina da presa scorrono via, fotografando attimi di vita, amore, odio e disperazione. Non a caso, “Miami Vice” non ha un inizio. Segue il flusso, entra nella dimensione onirica, investe e spazza via. Questo è il vero action, non quello di Bluckeimer, Woo o Micheal Bay. Questo è action perché pone l’azione in primo piano. E dall’azione, traspirano sentimenti potente e incontrastabili. Opera sperimentale non perfetta, ma dal valore immenso. Grande Mann. Voto: 71/2.

Sulla trama

Grande intreccio, ad opera del grande Micheal Mann.

Sulla colonna sonora

Grandiose scelte: dai “Linkin Park” alla bella “In the air Tonight” dei Nonpoint. Come al solito, anche senza l’apporto di Newton-Howard o di Elliot Goldenthal, le colonne sonore dei film di Mann riescono a suscitare emozioni. Grande, adatta al “flusso d’azione” che contraddistingue il film.

Su Luis Tosar

Bravo.

Su Justin Theroux

Bravo.

Su

Buon attore di contorno, già visto in “Munich” di Spielberg: qui risulta anche migliore, grazie ad una certa “sobrietà” che caratterizza il suo personaggio.

Su Naomie Harris

Per il suo ruolo, se la cava più che bene.

Su Gong Li

Veramente stupenda, affascinante, espressiva… superba.

Su Jamie Foxx

Grande.

Su Colin Farrell

Grande.

Su Michael Mann

Il più grande esteta del cinema noir di tutti i tempi: per lui il film non è una visione, una proiezione, bensì un’esperienza.

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