Regia di Nello Rossati vedi scheda film
Leonida Bottacin, vedovo a capo di una grossa azienda vinicola, ha un infarto e rimane in fin di vita. I parenti stretti, smaniosi di vendere a un affarista americano la ditta di famiglia, non vedono l'ora che Leonida muoia. Ma l'uomo sopravvive miracolosamente, così viene affidato alle cure di un'infermiera sexy e molto disponibile, con l'obiettivo di stroncare l'infartuato una volta per tutte.
Una trama pretestuosa, una serie di caratterizzazioni ridicole, stereotipi maschilisti e misogini a più non posso, svariate scene di nudo – esclusivamente femminile, ça va sans dire – e un finale a sorpresa che non sorprende nessuno: L'infermiera non è proprio un capolavoro, neppure all'interno del filone erotico-scollacciato che in quegli anni stava prendendo piede sui grandi schermi nostrani. Nello Rossati è uno specialista di tale tipologia di pellicole (veniva da La nipote, 1974, e Buona parte di Paolina, 1973) e scrive anche il copione, a sei mani con Roberto Gianviti e Paolo Vidali (che è anche assistente regista); sulla confezione e sulla professionalità degli interpreti c'è poco da dire, così come sull'innocenza dei nudi – pur insistiti e quasi sempre inutili ai fini della trama – e sulle battute sconce disseminate qua e là: non c'è nulla di eccessivo o di scandaloso ne L'infermiera, ma c'è così poca sostanza che viene da chiedersi cosa se ne possa salvare. Naturalmente se ne parla con gli occhi smaliziati di uno spettatore odierno: per il 1975 questo tipo di cinema aveva tutt'altro valore, e un pubblico in sala era sempre e comunque garantito. A ogni modo si possono sottolineare le prove di Mario Pisu, di Lino Toffolo e di Duilio Del Prete; Daniele Vargas, Luciana Paluzzi e Jack Palance appena sufficienti; rivedibili il giovane Stefano Sabelli (all'esordio) e la quarantenne Ursula Andress: non tanto perché sia sfiorita e fuori tempo massimo per il ruolo, anzi, ma proprio per l'inespressiva, algida prova in una parte che si sarebbe presupposta come la quintessenza dell'erotismo. L'opera è comunque rifinita a dovere, si diceva, e non sorprende visto che si tratta di una produzione Carlo Ponti, che doveva aver intuito le potenzialità di questo tipo di commedie messe in lavorazione in serie sulla scia di Malizia (Salvatore Samperi, 1973) e dei suoi incassi. 3/10.
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