Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film
Tratto da una short-story di Vladimir Bogomolov, "Ivanovo detstvo" fu uno dei maggiori successi di Andrei Tarkovsky, nonché un'opera conturbante ed ammaliante. È la storia di un dodicienne in guerra che non vuole essere mandato in salvo in una scuola militare e insiste nel continuare a rischiare la vita come staffetta contro il volere di amici e conoscenti. Ci sono anche due donne nella vicenda, una è la madre nelle sequenze oniriche, una sorta di paradiso in antitesi con l'inferno in terra, e l'altra una fanciulla; entrambe le figure sono legate ad una natura incontaminata. Ivan alimenta un odio profondo nei confronti del nemico, e dopo delle piccole missioni di perlustrazione, deciderà di combattere direttamente sul fronte assieme al tenente Galtsev. Il film si basa sulla giustapposizione di scafate interpolazioni poetiche: materialità e fantasia, piaceri e delusioni, aree buie deserte e bellissime foreste di betulle. Sogni e ricordi che ritornano e delineano scorci del passato. E mentre Tarkovsky ritrae realisticamente gli orrori del secondo conflitto mondiale, trova paradossalmente qualcosa di seducente in tutta la crudeltà esposta. Il regista usa gli spazi chiusi pregni di ombre chiaroscure, catturando il torbido paesaggio con l'occhio di un pittore. La fotografia di Vadim Yusov è nitida, inquietante, suggestiva. La rappresentazione ellittica non rivela tutto, suggerisce. Kolya Burlyayev offre una performance perfettamente credibile nei panni di Ivan, un ragazzino reclutato per spiare i nazisti in seguito all'omicidio della sua famiglia. Il suo carattere oscuro, lunatico, polemico sembra parecchio maturo per i suoi anni, echeggiando perfettamente lo stato di qualcuno che ha vissuto diverse paturnie ed è cresciuto troppo presto. Rimarchevoli anche le prove di Valentin Zubkov, il pragmatico tenete Kholin invaghito dell’infermiera Masha (Valentina Malyavina, soave e pressoché eterea nell’enigmatica maschera), e del già citato ufficiale Galtsev (Evgeny Zharikov), determinato a voler dare alla fanciulla una possibilità di sopravvivenza lontana dal campo di battaglia. Nel corso degli avvenimenti, inquadrature ipnotizzanti e composizioni accattivanti meravigliano costantemente il pubblico; ad esempio, un sorprendente espediente di ripresa traspare magnificamente in un frammento in cima ad un pozzo, da cui la mdp genera una visione ineffabilmente avvenente, quasi magica, del riflesso cangiante della luce sulla superficie dell’acqua. L'inganno dei sensi, infatti, acquista un ruolo fondamentale nel tracciare l'iperbolico rancore di Ivan: emblematiche a tal proposito diverse scene principali, prima fra tutte quella in cui viene preso da un preoccupante attacco di isteria nel momento in cui si mette a fantasticare di catturare un soldato avversario, il quale "interrogherà" personalmente minacciandolo con un pugnale datogli in prestito. Impressionante l'analisi psicologica che il regista sviluppa sul protagonista; il piccolo collaboratore già dal suo primo ritrovamento si mostra sveglio e preparato se paragonato agli ufficiali che dovrebbero sorvegliarlo (e alcune astute strategie di sopralluogo, non a caso, verranno ideate da lui stesso). In fondo a questo sciagurato martirio, un epilogo ambiguo chiuderà distopicamente lo sconvolgente racconto, lasciando una comprensibile aura di amarezza. La fine del viaggio culmina in un Eden che è contemporaneamente realizzato e perduto. Le immagini terminali, corroborate dalla solenne partitura di Vyacheslav Ovchinnikov, ci costringono a un'ultima contemplazione sulla morale umana.
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