Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film
Film ostico, difficile, come tutti quelli di Tarkovskij. Un'opera che alterna sequenze cupe, opprimenti, con lunghe e deformi ombre stagliate contro i muri, come nel miglior espressionismo tedesco, a fiammate oniriche, accecanti, che si riallacciano alle avanguardie del muto (quelle "latine" dell'impressionismo e del surrealismo), ai bagliori di "Sogno di Prigioniero" di H. Hathaway, al vertiginoso sentimento di trasgressione espresso dalle "nuove onde" contemporanee a questo esordio di Tarkovskij. Come vedete, a regola, fra le fonti di ispirazione, manca (oltre al pletorico "realismo socialista") il formalismo sovietico. Niente di più lontano da Eisenstein e Vertov, questa Infanzia di Ivan. Al limite Dovzenko: ma ritengo che l'influenza dell'ucraino sia più tangibile in film come Solaris o lo Specchio. Ad ogni modo, fin dalla sua opera prima, Tarkovskij era alla ricerca di un "cinema di poesia", libero da imposizioni metriche, come testimoniano non solo gli slanci lirici, ma anche le digressioni narrative, come ad esempio il corteggiamento della ufficiale-medico Masha da parte di un tenente.
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