Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film
Il piccolo Ivan è l’unico “adulto” in una guerra che, per definizione, è “roba da grandi”: sono questi ultimi, invece, ad avere comportamenti puerili, portandosi dietro, dal mondo, cattive abitudini e ingenue inclinazioni. Solo il bambino, rimasto orfano, possiede il coraggio e la determinazione necessari a combattere un nemico spietato, che semina ovunque l’orrore. I perdenti che, di fronte alla sconfitta, sopprimeranno se stessi e i propri cari (come Hitler, Goebbels, e tanti altri gerarchi e simpatizzanti del nazionalsocialismo) dimostrano che è la vigliaccheria la principale avversaria della pace: se la pazienza è la virtù dei forti, la violenza è il vizio dei deboli, che distruggono ciò che non riescono ad affrontare. In questa storia, ambientata in un piccolo avamposto del fronte russo sul finire del secondo conflitto mondiale, Tarkovskij presenta il lato positivo e umano del desiderio di vendetta, che è amore trasformato in passione per la giustizia e in un eroismo disperato, eppure carico di languida poesia. Nel cuore del protagonista, l’incubo della madre barbaramente uccisa prosegue nel sogno di una dimensione fantastica, in cui, come il cielo stellato catturato nel fondo di un pozzo, il paradiso perduto può ritornare in terra. La dolce luminosità di un sorriso, la fresca limpidezza dell’acqua, la rotondità di una mela simboleggiano una promessa di fecondità, di una vita che si apre con gioia su un futuro che un funesto presente si impegna crudamente a negare. L’infanzia di Ivan racconta, col linguaggio chiaroscuro delle favole, la speranza come il frutto maturo dell’innocenza: un fiore che sboccia dalle ferite sanguinanti di un’anima giovane e intatta, non ancora logorata dal quotidiano attrito con tante piccole disillusioni.
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