Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film
Il film comincia con una luce abbagliante che ritrae il piccolo Ivan (Nikolai Burlyayev) correre per i prati a inseguire farfalle e andare gioioso incontro alla mamma. Ma è un sogno, dal quale Ivan si risveglia catapultando tutto e tutti nella tetra atmosfera generata dalla guerra in atto. Il dodicenne Ivan è solo al mondo perchè i tedeschi gli hanno sterminato l'intera famiglia. É diventato una sorta di mascotte dell'esercito russo per il quale fa la staffetta tra i diversi fronti e il perlustratore delle linee nemiche. Incombenze pericolose che lui è ben contento di svolgere, mosso com'è da un odio profondo per il nemico tedesco. Ma i suoi occhi denunciano anche il desiderio di ricevere tenerezza e amore incondizionato, sentimenti che la guerra gli ha portato via troppo in fretta, fagocitandolo in una spirale di violenza negli anni più belli della sua adolescenza e rubandogli l'infanzia nel grembo protettivo della madre.
"L'infanzia di Ivan" (Leone d'oro a Venezia insieme a "Cronaca familiare" di Valerio Zurlini) è il primo lungometraggio di Andrej Tarkovskij ed in esso sono già abbondantemente presenti alcuni di quegli aspetti fondativi che caratterizzeranno tutta la sua opera avvenire. La nitidezza delle immagini e la presenza di elementi simbolici quali acqua, cavalli, campane, mele, che segnano nell'intera filmografia dell'autore russo la necessità di relazionare gli accadimenti che riguardano gli uomini con i fatti più attinenti all'astrazione speculativa, ovvero, la corruttibilità dei corpi con la perfettibilità dello spirito, sono immersi nell'angusta tetraggine della guerra, in un ambiente malato e inospitale. Ambientazione che ricalca l'instabilità emotiva di Ivan, oggetto pervasivo dell'intero film, mezzo e fine per un'indagine sull'irrazionalità della storia. Ivan si concede anima e corpo alla causa patriottica del suo paese, ma spesso è avvinto dagl'incubi che lo riconducono alla perdita dei suoi effetti più cari, alla nostalgia per una serenità domestica che, come la sua infanzia, è andata irrimediabilmente perduta. Quattro sono i momenti in cui Ivan è soggiogato dai suoi incubi più funesti, condotto a riflettere sul destino del suo paese e sulla morte dell'innocenza. É attraverso questa dimensione onirica che Tarkovskij da ampio sfoggio del suo estro poetico e della sua eleganza stilistica ed è in questo modo che da corpo a due momenti ben distinti dello schema narrativo, dove la rappresentazione lineare delle vicende belliche vengono interrotte dai deliri esistenziali di un adolescente che ha troppo presto dovuto imparare ad essere un uomo. Una cesura che marca una chiara differenza di contenuti stilistici. La cronaca delle incombenze della guerra e lo sguardo rivolto verso l'immaginifica plausibilità dei sogni si intrecciano in un flusso narrativo che contempla, tanto l'evidente necessità per Tarkovskij di evitare la censura di regime (si ricordi che stiamo nel periodo del famoso discorso di Kruschev e dei suoi strali contro "l'astrattismo" artistico) attraverso una marcata accentuazione del momento "verista", quanto la consapevole adesione a quella cifra stilistica che qualificherà Andrej Tarkovskij come un maestro di indiscussa originalità formale e speculativa. L'essere e il dover essere, sostanza e forma, dunque, si rincorrono vicendevolmente per dar corso a un equilibrio di profonda sensibilità emotiva e sublime efficacia figurativa in questa prima e fondamentale tappa di un percorso cinematografico di inestimabile pregio.
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