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Mandinga

Regia di Mario Pinzauti vedi scheda film

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La recensione su Mandinga

di moonlightrosso
2 stelle

Un film da vedere unitamente al film gemello "Emanuelle Bianca e Nera" (obbligo comunque riservato ai "cultori della bruttura", del resto ognuno ha il cinema che si merita....

In una Louisiana del XIX secolo ricostruita in maniera "very cheapy" nella campagna laziale, il cinico e crudele Richard Hunter (Antonio Gismondo) è il proprietario di una piantagione con relativa miniera d'argento. Qui convengono il figlio Clarence (Serafino Profumo), rientrato dall'Inghilterra e Rhonda (Paola D'Egidio), cugina della prima defunta moglie di Hunter. Nel frattempo una schiava della piantagione appartenente alla razza dei Mandingo muore dando alla luce un bambino, frutto di una violenza subita da Hunter. Temendo che il padrone possa far uccidere il figlio del peccato, gli altri schiavi negri decideranno di tenere nascosto il neonato. Rhonda, dopo aver tentato inutilmente di farsi sposare da Hunter, diverrà l'amante di Clarence, coinvolgendolo in perversioni di ogni sorta. Questi però preferirà sposare Mary (Maria Teresa Riuzzi), figlia del Reverendo Foster (Cesare Di Vito), la quale darà alla luce un bambino nero.

Lasciando a chi voglia proseguire nella visione il finalone a sorpresa, liberissima interpretazione delle "Leggi di Mendel", Mario Pinzauti (1930-2010) dirige quasi in contemporanea due films facenti parte di un dittico generato dal successo hollywoodiano di Richard Fleischer "Mandingo". Utilizzando in gran parte la stessa troupe e il medesimo miserrimo cast, il Pinzauti, nella sua consapevole veste di alfiere dell'ultrapoveristico e avendo a disposizione un copione dallo stesso vergato da raccontarsi in una manciata di minuti, stiracchia la storia sino all'inverosimile cercando di riempire i vuoti di sceneggiatura spingendo come era lecito e logico aspettarsi sul pedale del sesso e della violenza.

Obbligato, credo per ragioni di budget, a rinunciare alle opìme grazie di Malisa Longo, che fu la star del film gemello "Emanuelle bianca e nera", più scombicchierato e meno strutturato del film in esame ...vi lascio immaginare..., il buon Pinzauti, nel far di necessità virtù, deve qui affidarsi alla meno nota (e immagino dal meno esoso cachet) Paola D'Egidio, la quale ciononostante dimostra, quanto a lascivia e a carica erotica, di reggere in maniera più che egregia il confronto con la più famosa collega, regalandoci, fra l'altro, non pochi nudi frontali con relativo pube al vento.

Per il resto l'ottimo doppiaggio affidato a professionisti del calibro di Roberto Chevalier e Rita Savagnone, poco può fare per un deprimente panorama attoriale composto da caratteristi “ultra low costs” del cinema italiano e che vanta come "guest star" nientepopodimenochè il futuro commissario tutto d'un pezzo dei poveristici poliziotteschi a firma Mario Bianchi, Calogero, in arte Lino, Caruana. Nel rivestire il ruolo di uno dei crudeli sgherri di Foster, il compianto caratterista siculo non manca anche qui di imporci mustacci da mafioso, un'aria da duro da fumetto e il suo caratteristico e inimitabile riportone.

Nel totale squallore della messa in scena, il Pinzauti (già romanziere per la serie "I racconti di Dracula", un tempo acquistabili in edicola per poche centinaia di lire e da non confondere con l'omonimo ex direttore di GR3), non fa davvero sforzo alcuno per nascondere una proverbiale e paradigmatica povertà di mezzi. A lui va comunque riconosciuto il merito di immergerci nostalgicamente in quelle atmosfere delle dette rivistelle per adulti che un tempo si rinvenivano in gran copia presso i saloni da barbiere e che rendevano lieto l’attardarsi nei bagni dei licei prima e delle caserme poi.

In tale contesto sarà però d’obbligo glissare su dialoghi razzisti rifatti alla più becera propaganda fascista all'indomani della conquista del "Corno d'Africa", nonchè sulle ambientazioni ciociare spacciate per praterie nord-americane; nell’indimenticabile mercato degli schiavi, delizia per noi inguaribili cultori del trash, non si dovrà poi far caso come ai pochi “coloured” a disposizione della sgangherata produzione si debbano giocoforza affiancare comparse “de borgata” malamente annerite con un po’ di lucido da scarpe. 

Colonna sonora di Marcello Giombini che agisce sulla falsariga della partitura di Roberto Pregadio, autore dello score del film gemello, con un unico sintetizzatore, accompagnato da qualche fischio di flauto traverso, a fare le parti di un'intera orchestra.

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