Regia di John Huston vedi scheda film
Purtroppo sottovalutato, un dramma western avvincente, girato benissimo, che affronta in maniera coraggiosa e mai semplicistica né buonista i temi del razzismo, dell'incontro/scontro tra culture e del dilemma tra i legami di affetto e quelli di sangue. Voto: 7,667 su 10
Voto: 7,667 su 10
In una comunità di frontiera del Texas fa la sua apparizione un vecchio apparentemente pazzo armato di sciabola, che ritorna da un soggiorno presso gli indiani kiowa , con cui i coloni si scontrano ferocemente da molti anni, per alludere beffardamente nei suoi deliri a una scomoda e rimossa verità che riguarda la famiglia Zachary. L'anziana madre (Lillian Gish) ne è terrorizzata. Il fratello maggiore e capofamiglia Ben (Burt Lancaster) è premuroso e protettivo verso la sorella adottiva Rachel (Audrey Hepburn), di cui si è sempre raccontato essere stata salvata neonata dal loro defunto padre da un carro di coloni trucidati dagli indiani e adottata come figlia. Nella famiglia anche altri due fratelli maschi, una testa calda allergica al matrimonio (Audie Murphy) e un adolescente sognatore (Doug McClure ). A comporre il cast di personaggi di contorno altre famiglie e abitanti della comunità di allevatori di bestiame, di cui Ben Zachary con la sua enorme mandria costituisce un leader de facto, posizione che però le dicerie diffuse dal vecchio matto mettono a rischio alimentando pregiudizio e risentimento. A compromettere ulteriormente la situazione, ad un certo punto gli stessi kiowa si presenteranno a reclamare la restituzione di chi è loro.
The Unforgiven è un western atipico, dove l'approfondimento psicologico e sociale prevale sull'azione pura, e che fuoriesce per tematiche e tono dai canoni del genere, ibridandolo con altri generi come il dramma, il mistery e la commedia, la denuncia sociale, e risultando senza dubbio un'opera originale. Molti critici ne hanno sottolineato la specularità rispetto a Sentieri Selvaggi di John Ford, dove era una ragazzina bianca ad essere rapita e cresciuta dagli indiani (entrambi sono trasposizioni di romanzi di Alan Le May).
Dal punto di vista narrativo, il regista John Huston riesce a tenere insieme e a sviluppare in maniera coerente i vari filoni (l'analisi sociale della comunità di frontiera, il mistero sulle origini di Rachel, i rapporti familiari, lo scontro con gli indiani, l'esplosione del pregiudizio razziale), rendendo in maniera coinvolgente e credibile l'evoluzione dei personaggi e delle loro relazioni, man mano che il disvelamento della verità ne muta le dinamiche, mettendo gli Zachary con le spalle al muro, sempre più ostracizzati dalla comunità bianca visceralmente razzista e attaccati dagli indiani che si ritengono defraudati. L'aspetto crudo della frontiera, la natura tenace ma anche spietata della sua gente, ma anche le dinamiche familiari e sociali e il mistero da indagare sono tutti ben resi sullo schermo, evitando le prediche e anche di schierarsi in maniera manichea da una parte sola, ma cercando di comprendere ragioni e torti delle diverse parti. Il patriarca Zachary ha rubato una bambina durante una strage, ma adesso come pretendono gli indiani di strappare una giovane donna, con cui non hanno più nulla in comune, alla sua famiglia? Non c'è una facile risposta univoca e il film sceglie saggiamente di non darla, ma di provocare piuttosto la riflessione.
The Unforgiven è poi un film girato benissimo, con sequenze accattivanti che ci trasportano nell'atmosfera di un West sporco e polveroso, dove il vento solleva nuvole di sabbia che offuscano l'inquadratura nella bellissima fotografia di Franz Planer. Nella sapiente composizione delle inquadrature un regista come Huston trae sempre il massimo dell'espressività, della drammaticità e anche della poeticità (come il piano suonato nella prateria).
Certo, bisogna fare lo sforzo di considerare credibile una Audrey Hepburn indiana quando i suoi lineamenti di inglese di ascendenza olandese dicono tutt'altro e il trucco nemmeno la scurisce più di tanto (forse per evitare un effetto ridicolo). Ma i tempi erano quelli e nel 1960 Hollywood non aveva star e nemmeno attrici native o meticce a cui affidare una parte protagonista. Altro difetto, l'allusione al rapporto amoroso con il fratello adottivo l'ho trovata un po' cringe, la trama avrebbe giovato dalla sua eliminazione.
Tuttavia va dato merito al film di affrontare anche con coraggio le tematiche del razzismo e dei miti della “purezza” del sangue in opposizione ai legami umani di affetto e di solidarietà. Nella società della frontiera del XIX secolo appariva ai più abominevole accettare una donna indiana come parte della comunità, anche allorquando avesse vissuto fin da neonata come una bianca, e il regista vuole provocare i suoi contemporanei a riflettere su quanto questi arcaici concetti di impurità razziale gettassero ancora una sinistra influenza sulla società americana dei primi anni 60, ancora segnata da forme di segregazione. Ma certamente il finale anti-buonista ha il potenziale di mandare in cortocircuito sia i vecchi razzisti che gli attuali adepti del progressismo woke: infatti nello scontro finale è Rachel a fare la sua scelta tra legami di cura e legami di sangue, compiendo di conseguenza un atto violento di autodifesa della propria identità adottata che farà strappare i capelli ai soloni del politicamente corretto che dovessero vedere oggi il film. La complessità con cui Huston rappresenta il West come luogo di incontro/scontro tra culture e civiltà appare quindi, seppur per motivi diversi, coraggiosa sia nel clima culturale di sessant'anni fa sia in quello di oggi, in cui probabilmente la democratica Hollywood non sarebbe in grado di digerire questo finale lacerante.
Il bel cast si fregia della presenza carismatica di Lillian Gish, la grande diva del muto: è sua la scena per me più sconvolgente della pellicola, quando in un raptus feroce l'anziana madre degli Zachary arriva a spingere il cavallo per impiccare il vecchio svitato prima che possa rivelare a tutti l'inconfessabile verità sull'amata figlia. Perché Huston , come già detto, sceglie di raccontare questo dramma di frontiera da una prospettiva cruda, anti-buonista e per nulla consolatoria. Oltre a quelli già citati ci sono altri altri momenti scioccanti: un'anziana urla rabbiosamente in faccia a Rachel venuta a consolarla per la morte del figlio “You’re a red-hide nigger!” e Ben ordina al fratellino di uccidere gratuitamente un indiano per impedire alla sorella di sacrificarsi per salvare la famiglia accerchiata.
The Unforgiven rappresenta quindi un'opera tagliente, moderna e ricca di spunti e livelli di lettura, purtroppo sottovalutata già all'uscita quando non fu un successo ed oggi in gran parte dimenticata, non apprezzata neppure dal suo stesso regista che la considerava il suo film meno riuscito, secondo me a torto.
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