Regia di Luigi Bazzoni vedi scheda film
Un film spaventoso perchè approda in un territorio dolorosamente realistico. Da leggere come mètafora sul disfacimento della personalità dovuto ad una progressiva degenerazione psicologica.
Alice (Florinda Bolkan) lavora come traduttrice ma ultimamente ha vuoti di memoria: ad esempio consegna un lavoro giovedì invece di martedì, avendo totalmente rimosso dai ricordi gli eventi trascorsi gli ultimi due giorni. Nello stesso tempo ha insolite visioni nelle quali assiste ad uno spietato esperimento condotto sulla Luna, durante il quale un uomo viene abbandonato sulla superficie del satellite. Mentre le immagini le richiamano alla memoria un film di fantascienza (Orme sulla Luna) Alice rinviene una cartolina che ritrae un hotel di Garma, esotica località turca. Certa di conoscere quell'edificio, Alice raggiunge con l'aereo Garma per soffermarsi nell'hotel. Lo stesso giorno incrocia sulla spiaggia la piccola Paola (Nicoletta Elmi), la quale sostiene di averla incontrata un paio di giorni prima (martedì) e di averla conosciuta non come Alice, ma come Nicole. È l'inizio di un lungo e doloroso viaggio tra ricordi sbiaditi, incertezze, dubbi, paure e timori in parte attribuiti ad una fantomatica società segreta -che forse la sta inseguendo- capitanata da un inquietante individuo di nome Blackman (Klaus Kinski)...
"Ognuno di noi è una Luna: ha un lato oscuro che non mostra mai a nessun altro". (Mark Twain)
Dietro una suadente e malinconica colonna sonora (opera di un ispiratissimo Nicola Piovani) Le orme si apre con cinque memorabili minuti caratterizzati da immagini monocromatiche (eccezionale la fotografia di Vittorio Storaro) con scene immerse nel profondo spazio. Già qui sovvengono dubbi su cosa, in realtà, interessi veramente a Bazzoni raccontare.
Ispirato dal romanzo Las Huellas di Mario Fenelli, il regista (anche autore della bella sceneggiatura) ci trascina prendendoci per mano, garbatamente ma con fermezza, in un lento, inesorabile, irreversibile percorso "pessimista e decadente", parallelo a quello narrato per immagini. Le orme, ad una attenta visione, è dunque una vera e propria allegoria cinematografica: dove di fronte allo spettatore scorrono due storie, una immediata e dettata dall'evidenza delle immagini e l'altra "nascosta", decodificabile solo simbolicamente. E questo ad iniziare dal titolo e dalle scene di chiusura del film: orme sulla Luna (poi su una spiaggia). Ma cosa sono le orme, se non tracce, impronte, segni destinati a scomparire con il trascorrere del tempo? Non sono forse mètafora perfetta dei ricordi che affollano le nostre menti per poi, e qui sta l'orrore vero, in molti casi decadere, abbandonare la loro essenza -se non naturalmente a causa degli anni trascorsi- magari per colpa di una patologia?
"Hai occhi tristi", ovvero "... quell'ombra oscura nei tuoi occhi, come si fa a mandarla via?". Sono pertinenti osservazioni fatte da Henry ad Alice (attenzione alla raffinatezza di Bazzoni, che ha scelto non a caso questo nome per il personaggio interpretato dalla Bolkan). Perchè Henry ha capito. Henry (da notare: sul medaglione che porta al collo sta inciso però Harry) sa cosa sta passando la "sperduta" amica di infanzia. "Aiutami, Henry", chiede ad un certo punto Alice. E la vediamo, anima in pena, correre quasi per tutta la durata del film con sguardo perso, quando non spento. La vediamo, questa sfortunata Alice (in un paese senza meraviglie), vagare come spettro tra alberi e boschi spogli, con le piante prive di foglie, i rami a rappresentare graficamente mani protese verso di noi, verso di lei. Lei che, in un attimo di inattesa lucidità sentenzia sicura mentre vaga in un tetro sentiero privo di... orme: "Mi sono persa..."
E qui, se mai fossero stati presenti dubbi, si fa chiara la complessa messa in scena di Bazzoni. Che vuol raccontare altro da ciò che vediamo. Perchè é vero che Alice si è persa, ma come più su si diceva, da intendere che si è smarrita in allegoria. Si è persa, Alice, nell'orientamento ma si è persa (soprattutto) nel labirinto della mente.
Bazzoni dirige con grazia, muove la macchina da presa con delicatezza e sensibilità rarissima, in maniera tale che -nel genere- quasi mai prima (nè dopo) s'è fatto in Italia. Non nega, anzi ricerca con rara finezza, un malinconico traguardo (che è il simbolico e straziante finale) non nuovo allo spettatore con animo sensibile: che già, nell'incertezza della memoria, si era imbattuto almeno un paio di volte, prima con L'anno scorso a Marienbad e poi con Frammenti di paura.
Bazzoni si è dimostrato autore originalissimo, purtroppo con una filmografia estremanente contenuta (La donna del lago e Giornata nera per l'Ariete sono altre due pellicole perfette e imprescindibili, assolutamente consigliate) e qui gira proprio da Dio. Inquadrature, dissolvenze, stacchi, campi lunghi, controcampi e sofisticati movimenti di macchina: tutto al servizio di una interprete da Oscar (Florinda Bolkan) alla quale il regista predispone il terreno, apre la strada, "traccia le orme" da seguire. Al punto che film come questo meriterebbero di essere proiettati nelle scuole di cinema, perchè eccezionale esempio di impeccabile regia.
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