Regia di Anton Giulio Majano vedi scheda film
Interessante horror della preistoria del genere italiano, che miscela al genere la fantascienza e quel tipo di thriller che furoreggerà in italia dieci anni dopo con Dario Argento. Alla regia, curiosamente, troviamo uno dei padri del teleromanzo italiano: Anton Giulio Majano.
Nonostante non si sia alle prese con uno specialista, il prodotto nasce con buoni auspici e si inserisce con una certa originalità (per l'epoca) nell'innovativo campo aperto da I Vampiri di Riccardo Freda, uscito tre anni prima. Non a caso venne distribuito sul mercato estero col titolo Atom Age Vampire. E' un horror moderno, per la sua epoca, che guarda ad Alfred Hitchcock e anticipa film come il cult Il Diabolico Dottor Satana (1962) di Jess Franco. Proprio nel 1960, il maestro inglese presenta Psyco e Majano nonché i suoi sceneggiatori guardano a lui per lo stile e gli sviluppi di storia. Majano vanta forse il primato, in Italia,di essere il primo regista a piazzare la soggettiva dell'assassino per mostrare l'omicidio con le mani del killer che entrano in campo e strozzano la donna di turno. La scena anticipa, in Italia, lo stesso Hitchcock il cui thriller, uscito all'estero due mesi prima della pellicola italiana, arriverà nei cinema della nostra penisola nell'ottobre del 1960, a due mesi di distacco da Seddok. Certo, la violenza delle immagini del film di Majano non è resa col giusto piglio onirico (non ci va lontano), ma la via per il successo del genere è tracciata con interessanti contaminazioni anche col poliziesco. Bellissime, per l'epoca, le mostruose trasformazioni in primissimo piano dei volti (ottenute con abile gioco di montaggio), sulla scia di quanto fatto da Mario Bava, sia per il citato film di Freda che per La Maschera del Demonio, anch'esso in uscita nel medesimo mese di Seddok.
Il soggetto ruota attorno al genere dei mad dactor impegnati nei loro folli esperimenti e, più specificatamente, nel ridare la bellezza perduta a una spogliarellista (la notevole e quasi debuttante Susanne Loret, che farà poco altro) rimasta sfigurata in un incidente automobilistico. Un plot suggerito dal succeso ottenuto, appena un anno prima, da Occhi senza Volto (1959) di George Franju, arrivato in Italia tre mesi prima dell'uscita del film di Majano e vero e proprio ispiratore del sottogenere "bellezze perdute". Il sottogenere, oltre che dal cinema, trae linfa dalla narrativa del terrore di fine ottocento-primi novecento, si pensi ai capolavori che vanno da Mary Shelley a Gustav Meyrink (su tutti il racconto il Preparato Anatomico). Piero Monviso, artefice del soggetto, inserisce l'elemento del siero che sdoppia la personalità di chi lo ingerisce trasformando l'assuntore in feroce killer, soluzione alla The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, e lo innesta su una trama che evolve dalla fantascienza (studio per la rigenerazione delle cellule morte con la problematica di stabilizzare le nuove, una soluzione su cui Raimi negli anni novanta ideerà il suo Darkman) a uno sviluppo carico di omicidi degno di uno spaghetti thriller. Non mancano citazioni a Edgar Allan Poe, si pensi a I Delitti della Rue Morgue, con l'idea di un gorilla sfuggito dalla zoo accusato inizialmente dei crimini.
Da notare il bianco e nero, vero e proprio valore aggiunto per la resa visiva del film, con un certo sforzo scenografico alle spalle teso a ricostruire le giuste atmoferse del cinema gotico. Nebbie finte e contrasti di luce sono le armi attraverso le quali ricercare il risultato perseguito.
Piuttosto bene le interpretazioni. Oltre alla bellissima Loret, si segnala il belloccio Sergio Fantoni, che l'anno dopo si sposerà avendo come testimoni Luchino Visconti e Ennio De Concini, e la mitica star televisiva Alberto Lupo (qua un po' legnoso, in verità).
Non particolarmente trascendentali le musiche. Seddok, e lo dico con un certo orgoglio, è il primo horror girato negli Studios Pisorno di Tirrenia, riaperti proprio in quell'anno da Ponti dopo la chiusura dovuta alle vicende post belliche. Qualche anno dopo, tra gli altri, Antonio Margheriti utilizzerà i set toscani per il suo Contronatura (1969).
Pur se prevedibile nel dipanarsi della storia, da un punto di vista storico, relativo allo studio del genere, è un film da recuperare.
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