Regia di Irwin Winkler vedi scheda film
Oggi voglio recensire un film del 1991, Guilty by Suspicion, film che segna l’esordio dietro la macchina da presa del lungimirante produttore di Rocky e alcuni capolavori di Scorsese, fra cui Toro scatenato, ovvero l’esimio Irwin Winkler.
Per protagonista di questo suo esordio registico, Winkler sceglie proprio De Niro come interprete principale e riserva al suo amico Martin Scorsese un breve ma incisivo cameo. Insomma, tutti sono a loro volta debitori e talent-scout vicendevoli delle loro carriere, e hanno voluto godibilmente ringraziarsi reciprocamente.
Il film è ambientato, in una lussuosa confezione impeccabile e un po’ d’antan, negli anni Cinquanta, nel periodo della caccia alle streghe del maccartismo. Un regista di talento, senza macchia e senza paura, David Merrill, viene indagato dall’FBI perché si pensa abbia simpatie comuniste. Lentamente, viene emarginato dal sistema e non riesce più a lavorare, una volta che amici e produttori scoprono che è stato “marchiato” dalla lista nera... Viene chiamato a deporre dalla commissione d’inchiesta, affinché denunci i colleghi comunisti e, così facendo, possa continuare nella sua professione, rimanendone pulito. Prima si fa tentare dalla prospettiva, perché sarebbe l’unico modo per ritornare in gioco, poi invece nel giorno decisivo si rifiuta di fare i nomi, attaccando veemente i membri delle attività antiamericane, e viene dunque espulso dal mondo del Cinema. Ma la sua vigorosa fede morale e l’intatta sua coscienza, se da un lato gl’impediranno di continuare a fare il regista, dall’altro lo riconcilieranno con la moglie e il figlio...
Un film abbastanza manicheo, troppo stringato e decisamente lento, che però trova il suo valore nell’ottima ricostruzione dell’epoca, nelle atmosfere nostalgiche, nell’interpretazione asciutta (anche troppo, a dire il vero) di un De Niro sobrio e misuratissimo, “malato” di laconismo e malinconico, e soprattutto nella splendida, grigia fotografia di Michael Ballhaus, che preferisce toni freddi e gioca molto con le luci, le ombre, mescendosi sinuosa alla cupezza e alla mestizia disperata della trama, sfolgorantemente abbagliando d’intensità nella scena della deposizione, in cui potremmo dire che si districa armoniosamente con primissimi piani e tagli secchi, i flash delle macchine fotografiche e, nelle tonalità delicatamente luccicanti, si staglia potente e sottilmente essenziale, quasi incarnandosi con calore al volto dubbioso e arrabbiato di un De Niro che sfoga in viso tutta l’ira compressa e il dolore che aveva sin a quel momento tenuti dentro.
Oltre che da De Niro, il cast è arricchito dalle presenze di Annette Bening, qui molto giovane, nei panni della sua amorevole e comprensiva moglie, da George Wendt, dagli allora quasi sconosciuti Tom Sizemore e Chris Cooper, da Barry Primus e da Ben Piazza (alla sua ultima apparizione sul grande schermo, peraltro) e Patrizia Wettig, che interpretano rispettivamente il produttore Zanuck, con tanto di scena “inventata” in cui in anteprima visiona i ciak sbagliati dell’indimenticabile Marilyn Monroe de Gli uomini preferiscono le bionde, in particolare la celeberrima scena in cui la divina, seducentemente inarrivabile e ammaliante, canta Bye Bye Baby, e l’attrice Dorothy Nolan, ricalcata sulla davvero esistita Dorothy Comingore (che però, a differenza del personaggio nel film, non si suicidò...). Lo stesso personaggio di Scorsese, in verità, che interpreta Joe Lesser e che mostra a Merrill/De Niro una scena de Il ragazzo dai capelli verdi, è ispirato appunto a Joseph Losey.
Tutto il film, se vogliamo essere sinceri, è puntellato di deliziosi quanto “invisibili” omaggi, fra cui una non troppo velata citazione a Mezzogiorno di fuoco.
Ripeto, non un film memorabile ma che si lascia decisamente vedere, e che gioca le sue carte sull’impianto nostalgico di un’epoca scomparsa, di un periodo estintosi come a sua volta il modo di girare dello stesso Indiziato di reato, film che rivisto oggi appare un po’ “datato” e superato, ma è comunque importante come testimonianza di un Cinema demodé già nei primi anni Novanta. Un film, a suo modo, intrigante e fascinoso.
di Stefano Falotico
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