Regia di Jonathan Dayton, Valerie Faris vedi scheda film
Jonathan Dayton e Valerie Faris, con Little Miss Sunshine, tessono una narrazione che rispetta profondamente l’umanità imperfetta dei suoi personaggi. Non c'è traccia di cinismo o di distacco emotivo nel loro sguardo: essi osservano con tenerezza e complicità i sogni infranti, le piccole idiosincrasie e le fragilità di ogni membro della famiglia Hoover. Il loro approccio registico è intessuto di empatia, una sorta di carezza invisibile che accoglie i protagonisti senza mai deriderli, rendendoli incredibilmente vicini a noi.
Lo spettatore non è un osservatore distaccato, ma un compagno di viaggio. Siamo invitati a salire sul fatiscente Volkswagen giallo, un simbolo di resilienza e insieme di precarietà, per condividere il tragitto caotico e imprevedibile verso il concorso.
La scelta di far convivere i sei protagonisti all'interno della maggior parte delle scene non è solo una decisione stilistica, ma una dichiarazione poetica: la famiglia, con tutte le sue contraddizioni e conflitti, esiste nella sua totalità, nei suoi momenti di caos e nei suoi attimi di armonia.
L'apice del film è l’esibizione finale di Olive, una scena che rovescia ogni aspettativa e rompe con i cliché del genere. Nel mondo dei concorsi di bellezza per bambine, ossessionato dalla perfezione e dall’apparenza, la performance sgangherata e provocatoria della piccola protagonista diventa un atto di ribellione gioioso e liberatorio. È un inno alla libertà di essere se stessi, senza compromessi o vergogne. Quando i membri della famiglia salgono sul palco per ballare insieme a Olive, il film raggiunge il suo culmine emotivo: una celebrazione del valore dell'imperfezione e della forza dell’amore familiare.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta