Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
se I Predatori dell'Arca perduta è una pietra miliare del genere avventuroso, questo sequel/prequel, a cui va riconosciuto il coraggio di riproporre una formula di successo senza ricopiarla pedissequamente, si limita ad esserne un buon prodotto, appesantito da qualche difetto, ma impreziosito da alcune scene di grande impatto.
Un inizio sorprendente per il seguito-prequel de I Predatori dell'Arca perduta, addirittura con un numero di musical (“Anything Goes”) sui titoli di testa, che introduce la protagonista femminile Willie (Kate Capshaw), cantante americana nei locali di Shanghai, che sostituisce la Marion di Karen Allen in una vicenda che si svolge nel 1935, un anno prima di quella del capitolo originario.
Dopo aver così spiazzato le attese del pubblico, Spielberg, nella sequenza splendidamente diretta che segue immediatamente, realizza il sogno di dirigere un film di James Bond: la scena nel lussuoso club di Shanghai è pura azione “bondiana”, con tanto di smoking sfoggiato dal solitamente trasandato archeologo. Ad avvicinarlo a 007 è anche che Jones ha in questo secondo capitolo un'aria più sfrontata che nel primo, soprattutto nei confronti della protagonista femminile Willie, molto più paurosa, ingenua e sprovveduta della tosta Marion.
Segue una parte che abbandona ogni parvenza di verosimiglianza (e di rispetto delle leggi della fisica) per il puro spettacolo, con i piloti dell'aereo che trasporta Indiana Jones, la terrorizzata Willie e Shorty (un ragazzino cinese collaboratore del professore) che si paracadutano fuori invece di sopprimere i passeggeri, questi ultimi che si lanciano dall'aereo senza controllo aggrappati ad un canotto gonfiabile, planando su un ghiacciaio himalaiano e poi scivolando lungo la superficie ghiacciata fino a volare giù da un precipizio in un fiume, la cui corrente li conduce in un misero villaggio dell'India. Lì si delinea la missione del film: recuperare una pietra magica che il maharajah del palazzo di Pankot ha sottratto insieme ai bambini del villaggio, costretti a lavorare nelle cave del crudele sovrano. Nel castello del maharajah-bambino e soprattutto nei suoi labirintici e cavernosi sotterranei, teatro degli orrendi sacrifici umani di una malvagia setta dedita al culto della dea Kali, si svolgerà l'impresa dei nostri eroi.
La premiata ditta Lucas (produttore) & Spielberg (regista) ripropone il mix di avventura, suspense, ironia, azione, esotismo che aveva fatto la fortuna del primo episodio: la formula funziona ancora, sebbene con un tono decisamente più dark e persino horror, tra congegni che immergono le vittime nella lava incandescente, bambini frustati, cuori strappati dal petto e sangue bevuto da crani rattrappiti, che dà al film una personalità distinta rispetto al precedessore.
L'umorismo è comunque garantito da una cena di gala a base di orrorifiche “specialità”, da una citazione della già iconica scena pistola-contro scimitarra e da un un martello volante che piomba comicamente in testa ad una guardia.
Harrison Ford è ancora una volta un Indiana Jones affascinate, audace e sarcastico quanto basta, seppure stavolta più duro che nel primo capitolo (questo è anche l'unico film in cui non lo vediamo insegnare nelle aule universitarie).
Steven Spielberg conferma la sua innegabile abilità nel dirigere le sequenze di azione, con l'ultimo atto che è un susseguirsi di colpi di scena e gesta rocambolesche che non lasciano il tempo di riprendere fiato, dalla celeberrima corsa indiavolata sul carrello della miniera al confronto risolutivo sul malfermo ponte tibetano con sottostanti coccodrilli in famelica attesa.
Anche la fotografia è ottima, specialmente nelle scene sotterranee bagnate da una inquietante luce rosso-sangue.
Tuttavia l'operazione, sebbene possa dirsi risuscita, non raggiunge gli stessi livelli de I Predatori dell'Arca perduta.
I problemi sono certamente nella sceneggiatura, meno compatta ed infallibile (stavolta non scrive Lawrence Kasdan, ma la coppia Willard Huick e Gloria Katz), che manca della brillantezza del primo film nel fondere in maniera perfetta i diversi toni e generi; inoltre nella parte centrale il ritmo rallenta eccessivamente ed anche i dialoghi non sono esattamente memorabili.
Soprattutto i comprimari che fanno da spalla a Indiana stavolta risultano deboli. Il ragazzino cinese (Jonathan ke Quan) è un personaggio che, nel suo voler risultare a tutti costi simpatico, finisce per irritare; di lui tra l'altro non si capisce appieno la relazione con Jones, né perché l'anno successivo sia completamente sparito dalla sua vita. La protagonista femminile (interpretata dalla futura e tuttora attuale signora Spielberg) si limita ad urlare di paura o disgusto e rappresenta certamente un passo indietro rispetto a Marion; le schermaglie amorose tra Indiana e Willie suscitano poco interesse anche alla luce del fatto che il pubblico già sa che un anno dopo Indiana sarà di nuovo single e pronto a riallacciare i nodi con la vecchia fiamma interpretata da Karen Allen.
Nonostante questi limiti, il film riesce ad intrattenere ed avvincere: se I Predatori dell'Arca perduta è una pietra miliare che ha rinnovato e rilanciato il genere avventuroso, Indiana Jones ed il Tempio Maledetto, a cui va riconosciuto il coraggio di riproporre una formula di successo senza ricopiarla pedissequamente, si limita ad esserne un buon prodotto, appesantito da qualche difetto, ma impreziosito da alcune scene di grande impatto.
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