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Indiana Jones e il tempio maledetto

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Indiana Jones e il tempio maledetto

di giurista81
6 stelle

Secondo episodio della fortunata saga Indiana Jones che unisce il genio di George Lucas (soggetto) a quello di Steven Spielberg (regia). Harrison Ford, confermatissimo, è il terminale di un tridente, che ha nella fuori luogo Kate Capshaw (nel ruolo della stupidotta di turno che urla in continuazione e ha un debole per Indie, ma vorrebbe far emergere il contrario) e l'irriverente tredicenne Jonathan Ke Quan, chiamato dal caso (o dall'intervento superiore di Shiva, come sembra suggerire il finale) a recuperare una pietra sacra trafugata dagli adepti di un culto satanico legato ai Thugs che pratica sacrifici umani in onore alla Dea Kali.

Spielberg dirige con gran talento e soprattutto dando sfoggio di un marcatissimo gusto B-Movie, pur se avendo a disposizione importante paracadute economico. La realizzazione tecnica maschera la scarsa vena degli sceneggiatori con acrobazie, scenografie affascinanti, effetti speciali (premio oscar per la squadra di quattro effettisti) e un'eccezionale fotografia caldissima (prevalenza di toni giallo-rossi) di Douglas Slocombe. Il copione, pur proponendo spiccati momenti ironici (indimenticabile la cena a base di scarafaggi e serpentelli estratti da un boa e divorati vivi dai commensali, con la Capshaw che sviene), cela un soggetto alquanto stereotipato, figlio della produzione narrativa del nostro Emilio Salgari, e anticipato da piccoli film italiani che, quanto a storia, non sono affatto inferiori a Il Tempio Maledetto. Ricordo un titolo al volo, peraltro misconosciuto, ovvero La Montagna di Luce (1965) di Umberto Lenzi, eccelso adventure movie a basso costo.

Curiosamente Spielberg, di solito attento e piuttosto autoriale sebbene legato al cinema d'intrattenimento, condisce il prodotto con una lunga serie di momenti inverosimili che impongono allo spettatore la proverbiale sospensione della incredulità. Così vediamo i nostri protagonisti lanciarsi da un aereo in volo, prossimo a precipitare, a bordo di un canotto che poi plana sulla neve. Prima ancora vediamo fuggire Ford e la Capshaw da un palazzo, lanciandosi da una finestra, con una serie di tende che ne rallentano la caduta culminante con il perfetto posizionamento sui sedili posteriori dell'auto guidata da Ke Quan, il piccolo socio di Ford. Si tratta di sequenze che, di solito, si è abituati a vedere in un film comico piuttosto che in un prodotto con ambizioni. Si prosegue poi con un inseguimento in una ferrovia sotterranea con i carrelli che saltano sui binari, riatterrando perfettamente su altri binari e proseguire la corsa.

Al di là delle forzature e delle tante scorciatoie prese da Spielberg, in barba a ogni verosimiglianza, il film intrattiene e ha interessanti momenti ai confini dell'horror. Assistiamo infatto a sacrifici umani, con un santone che indossa un copricapo muflonico e che estirpa, o meglio offre l'illusione di farlo, il cuore pulsante della vittima sacrificale poi fatta calare in una sorta di inferno. Spielberg mostra il cuore palpitante che pulsa nelle mani dell'officiante. E' un bel momento che sprizza la natura da B-Movie da tutti i pori.

Bella poi la sequenza sul ponte tibetano con i coccodrilli che, sotto, attendono la caduta degli uomini che si battono al di sopra. Un po' come i nostri cannibal movie, Spielberg mostra diversi animali che popolano la giungla con la Capshaw, eroina involontaria dell'avventura, che urla in continuazione, impaurita da tutto. Sono notevole anche le riprese con i nostri eroi che si muovono, all'alba, in una foresta sopra la quale stormi di pipistrelli giganti si muovono in gruppo. 

Dunque un film dalla sfarzosa confezione, ma dai toni e dalla storia degna di un B-Movie che non vuol prendersi sul serio. Emblematica, da questo punto, la scenetta con Ford e la Crepshaw che, alla maniera di due adolescenti, si attraggono e poi si respingono per dimostrare chi, tra i due, è più innamorato dell'altro. 

Molto carino, ma non un capolavoro. A mio avviso, è tra i prodotti meno qualitativi, dal punto di vista contenutistico, nella produzione di Steven Spielberg. A ogni modo è un indubbio spettacolo visivo.

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