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Il terzo miracolo

Regia di Agnieszka Holland vedi scheda film

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La recensione su Il terzo miracolo

di SamP21
7 stelle

 

La trama in breve:

 

Chicago, 1979. Frank Shore, prete in crisi di fede da diverso tempo, viene chiamato dal Vaticano per indagare sul mistero di una statua di marmo che versa lacrime di sangue. Nel corso delle indagini conoscerà Roxanne, donna in grado di compiere miracoli, della quale rischierà di innamorarsi e che lo porterà in una condizione di forte conflitto con la Chiesa cattolica americana.

 

Quarto lungometraggio americano della regista polacca che torna a parlare di chiesa a 11 anni da un film, Un prete da uccidere, che l’ha fatta conoscere all’estero.

 

La Holland, nell’introdurci a questa storia sulla santità nei nostri giorni e sul dibattito interno alla chiesa sull’argomento, ci mette di fronte soprattutto ad un personaggio che ha perso molte volte la fede: ovvero il carismatico postulatore, interpretato da Harris, proprio quell’Harris già presente nel film del 1988, segnando così un’importante linea di continuità.

 

Guardando alla storia dei film diretti da registi europei in America negli ultimi quarant’anni spesso si può scorgere come sia il loro sguardo ad inquadrare al meglio e con più naturalezza la durezza dei quartieri poveri americani. Questo film ne è la conferma; difatti, quando il nostro protagonista gira per le strade di Chicago e si trova difronte decine di senza tetto, persone che si drogano per strada, prostituzione ecc… siamo lontani da molti film americani “mainstream”.

 

Questo passaggio del film ha una certa forza e importanza nel tessuto diegetico e visivo del film: il postulatore si è perso ed è proprio tra i poveri che ha scelto di vivere.

 

Tornando invece all’efficace scena iniziale, che si rivelerà cruciale nel corso del film, questa è girata in bianconero con un viraggio quasi al seppia, con movimenti concitati e telecamera a mano, sguardi verso l’alto ripetuti: sono tutti movimenti che ritroveremo nel corso del film.

 

The third miracle si sviluppa in due fasi. La prima della ricerca, quasi come fosse un giallo, della verità su questa presunta santa, il che ci aiuta a conoscere l’ambiente e i personaggi che ci abitano; la seconda in cui assistiamo ad un vero e proprio scontro in tribunale, con tutti i crismi del legal drama

 

La Holland conosce bene i meccanismi narrativi e sembra inserirsi abilmente anche nei meccanismi hollywodiani, senza però prenderne alcune eccessi; non c’è retorica nel film o volontà di strafare. Molto gira intorno alla mancanza di fede del protagonista e poi al suo incontro con la figlia di Helen (la possibile santa) e infine al suo scontro con il prete che ne contesta la tesi di santità. Il personaggio dell’arcivescovo è il meno riuscito, il più retorico ed eccessivo, smaccatamente “cattivo” e fastidioso e anche il colpo di scena legato a lui appare forzato.

 

La Holland sceglie di girare il presente in maniera diversa dal passato, dove troviamo questo color seppia, e dai momenti onirici; sogni e flashback ci aiutano a ricostruire i passaggi che hanno portato il protagonista a dubitare del suo ruolo e della sua fede.

 

Gli incontri con la realtà locale, spesso fatta da emigrati irlandesi o polacchi, ci raccontano di una cittadina povera e senza speranza dove l’unica aspettativa per alcuni risiede nella fede e soprattutto nella fede  in questa santa del popolo; gli altri invece si sono rassegnati a vivere di overdose o morti violente.

 

La ricerca di questa presunta santità sembra portarci alla conclusione che la donna lo fosse, riavvicinando allo stesso tempo  il protagonista alla sua fede, dopo il momento di debolezza umana e fisica che lo lega alla  figlia della stessa Holland, che aveva un padre ebreo (che ha sempre combattuto contro la sua fede) e una madre cattolica; qui si dimostra equilibrata nel racconto e riesce a non dipingere nulla come macchiettistico.

 

Il cast tecnico è di ottimo livello e gli attori capitanati da un intenso Harris riescono a dare forma e forza ai personaggi.  Si può affermare che nel film la regista faccia coesistere la voglia di una ricerca e resa visiva di qualità con una narrazione fluida, classica, senza scossoni o cedimenti e che in definitiva il film convince e riesce a raccontare una storia potenzialmente poco emozionante, se non per chi si interessa a questi temi, con enfasi ma senza retorica e ridondanza.

 

Oltre alla già citata scena iniziale, ci tengo a segnalare la prima carrellata con cui la regista ci restituisce una Chicago allo sbando e la scena in cui la bambina andando in chiesa viene colpita dalle lacrime della statua.

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