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Amici, complici, amanti

Regia di Paul Bogart vedi scheda film

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La recensione su Amici, complici, amanti

di degoffro
8 stelle

Forse il senso profondo di questa sensibile e toccante pellicola ambientata nel mondo omosessuale, capace di affrontare con coraggio e delicatezza, evitando inutili, fastidiosi e risaputi luoghi comuni, un tema sempre considerato tabù (specie negli anni ottanta) sta tutto nel monologo iniziale di Arnold, “un travestito, o meglio quello che ne rimane”, comunque “un esemplare di una specie in via di estinzione”. Mentre si sta truccando per prepararsi al suo consueto spettacolo notturno incentrato su tristi canzoni d’amore, nella New York del 1971, rivolgendosi allo spettatore, Arnold confessa la fatica e il disagio a vivere la sua condizione in una società che non accetta né lui né quelli come lui, con le delusioni d’amore e la violenza. Non più giovanissimo, né particolarmente bello (“sono stato sia giovane sia bello, ma mai tutte e due le cose insieme”), con una voce particolarmente roca e maschile Arnold si rende conto che ci sono mestieri più facili del travestito, magari lo scaricatore di porto, ma “per quanto ci provi non ho altra scelta: non riesco a camminare senza tacchi”. La sua filosofia di vita è guardarsi dai disperati, che distingue in tre categorie: gli sposati, quelli di passaggio per il fine settimana e gli irrimediabilmente eterossessuali, con cui si stabiliscono le relazioni più rischiose. Pur “essendo stato a letto con più uomini di quanti ne nomini la Bibbia” Arnold non ha mai incontrato nessuno che gli abbia detto con convinzione “Ti amo”. Probabilmente la persona giusta, almeno per lui, sembra essere Ed, insegnante bisessuale. Nonostante sia il primo ad essere consapevole del fatto che “un tizio brutto che va dietro ad uno carino rimedia solo rogne e basta, ma un tizio carino che va dietro ad uno brutto almeno i soldi del taxi li rimedia” Arnold vive la relazione con Ed con estremo trasporto e passione, nella speranza che non sia la solita avventura passeggera di una notte, ma l’occasione per costruire finalmente una vita a due completa e serena. Ma Ed tiene molto alla sua mascolinità (“Ho rapporti con le donne” “Ma io credevo sorelle, zie, nipoti” è la sconsolata replica di Arnold), e, dopo qualche settimana felice, l'innamorato Arnold, geloso e possessivo, viene abbandonato dall'amico per una donna, Laurel, che, dopo qualche tempo, questi sposerà. Distrutto da questo abbandono (“Ed non riconoscerebbe l’amore nemmeno se Cupido lo colpisse con frecce a forma di cuore nel sedere”) determinato dalla sua “colpa di volere un marito, mentre Ed voleva una moglie”, Arnold riesce a rifarsi una vita con Alan, un giovane modello insieme al quale abita per 6 anni. Il loro sentimento resiste alla crisi provocata da un imbarazzante week-end, trascorso insieme a Ed e a Laurel. Arnold, che ha i sentimenti di una vera donna, desidera un figlio e, insieme ad Alan, chiede di ottenerne uno in adozione. Proprio quando sembra che il tribunale glielo conceda, Alan viene ucciso, una sera, da un gruppo di teppisti che odiano i gay (e saggiamente il bravo regista Paul Bogart lascia tutto fuori campo). Nel 1980, Arnold, che ha ottenuto l'adozione provvisoria di David, un ragazzo sedicenne omosessuale che non accetta la propria condizione, gli fa premurosamente da mamma; il giudice spera che il vivere con lui possa facilitare al ragazzo l'accettazione della propria "diversità". Ed, intanto, che si è diviso dalla moglie e si trova senza casa, chiede ad Arnold ospitalità per qualche giorno, ma è ormai solo un semplice amico. In questa complicata situazione, arriva a New York la madre di Arnold (una meravigliosa Ann Bancroft, ogni volta che entra in scena il film prende il volo), che viene a trovare il figlio e a visitare la tomba del defunto marito e resta sconvolta dalla presenza di David e di Ed in casa. Madre e figlio, che hanno sempre avuto rapporti difficili (“Parlare con te non è la cosa più facile di questo mondo” dice Arnold) a causa della diversità di lui, cominciano a litigare, ma il duro e dialettico confronto, spesso segnato da frecciate infelici e crudeli (“Se sapevo come venivi, non mi disturbavo”, urla sprezzante la madre che crede che quella del figlio sia una malattia) avvierà un processo di catarsi e di comprensione che servirà ad entrambi per risolvere e rinsaldare il rapporto. Tratto dall’omonima commedia che ha trionfato a Broadway e che ha avuto ben tre anni di repliche, il film è il risultato della fusione di una trilogia. L’autore Harvey Fierstein che è stato anche protagonista della commedia e che nel film interpreta con splendida adesione e vertiginosa partecipazione il magnifico ruolo di Arnold, forse il più bel ruolo omosessuale realizzato per il cinema) ha ridotto le tre parti del suo lavoro teatrale, per il quale è stato premiato con un Tony Award nel 1981, un Theatre World e due Dramadeak come migliore attore e scrittore, in un’unica storia. Il film però rimane diviso in tre atti che rappresentano i tre momenti della vita di Arnold, contrassegnati dalle tre canzoni cui allude il titolo originale: 1) 1971: la relazione con Ed; 2) 1973: la convivenza felice con Alan; 3) 1980: la vita con il figlio adottivo David. Vera e propria pietra miliare per la storia del cinema a tematica omosessuale, in quanto rivendica apertamente il diritto alla felicità dei gay, il film, in sapiente equilibrio tra sentimento e umorismo, con garbo e sensibilità affronta tematiche scomode e rimosse come l’emarginazione, gli affetti negati, le famiglie che voltano le spalle. Arnold chiede solo amore e rispetto agli altri, ma si trova in una condizione di vuoto e disperazione quando comprende che neanche in famiglia riescono ad accettarlo e capirlo (“Mi sento morire ogni volta che penso che quando i miei genitori mi guardano, si chiedono dove hanno sbagliato”). E il rapporto rabbioso e difficile con la madre è scandagliato con estrema intelligenza e con una lucidità analitica sorprendenti ed inedite nel panorama del cinema americano. “Tu hai fatto lo scemo con un bambino, come fai a paragonarlo ad un matrimonio di 35 anni? Io ci ho messo due mesi per abituarmi a dormire nel nostro letto da sola, un anno per abituarmi a dire io anziché noi. E mi vieni a dire che piangi un morto? Come ti azzardi, come pretendi di capire?” Sulla tomba dove sono seppelliti il padre di Arnold e Alan avviene lo scontro più violento e duro tra madre e figlio. E Arnold, che fino a quel momento aveva sopportato i silenzi, le battute, le cattiverie della madre sfoga tutta la sua indignazione e rabbia: “Alan è stato ammazzato in mezzo ad una strada a 27 anni, massacrato da una banda con le mazze da baseball, ucciso da ragazzi allevati da gente come te, perché i finocchi non sono essere umani, non amano e quelli che lo fanno si meritano quello che gli succede”, una confessione di disarmante verità e franchezza. Intensa e sincera riflessione sul dolore e sulla perdita (“Dai tempo al tempo, poi andrà meglio. Non sparisce del tutto, puoi lavorare, adottare un figlio, litigare con me, qualsiasi cosa ma è giusto che sia così è come qualcosa che fa parte di te, un anello, ci fai l’abitudine ed è un bene perché ti serve per non dimenticare” dice la ritrovata madre) “Amici, complici amanti” si conclude con una sequenza struggente e di pura poesia: mentre alla radio risuona una canzone che il figlio adottivo David gli ha dedicato, Arnold prende una foto di Alan e la stringe forte a sé, nella certezza che forse “è davvero più facile amare qualcuno che non c’è: commetti meno errori.” Commovente.
Voto: 8

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