Regia di Joseph Losey vedi scheda film
E' un film dallo stile essenziale e rigoroso, silenzioso e pacato nell'andamento, che scava nelle psicologie dei personaggi e nel non detto. Infatti la caratteristica principale che accomuna questi ultimi è il non dire e il fingere, il far finta che non stia accadendo niente, quando invece sta infuriando una tempesta. L'arrivo della bella studentessa austriaca fa girare la testa a tre uomini, che quindi divengono di colpo rivali, ma nessuno ha il coraggio di ammettere (se non alla fine) la passione avvampante per la ragazza, o la tremenda gelosia che li divora l'uno per l'altro. I dialoghi sono quindi fatti da allusioni, da cose sottaciute, da feroci stoccate mascherate da buone maniere. Questo è un modo di vivere e di essere che forse risale all'epoca vittoriana, quando la moralità doveva essere impeccabile in facciata, ma non si dava alcuna importanza ai vizi nascosti sotto la coltre. Il male non veniva ammesso e affrontato, ma negato o nascosto sotto il tappeto. Questo è semplicemente un modo di essere, che forse si è visto più in Inghilerra che altrove, ma che per il resto secondo me si può ravvisare in persone appartenenti a tutte le classi sociali. E' pertanto troppo comodo e sbrigativo attribuirlo solo alla borghesia o alle classi più alte. L'ipocrisia, non importa riguardo a che cosa, è in agguato dappertutto.
Il più simultore e ipocrita del film è forse il personaggio di Dirk Bogarde, uomo sposato con figli, che però brucia dal desiderio per la studentessa, e odia di riflesso lo studente e il collega perché gliela contendono. Va anche detto, tuttavia, che tale desiderio è di natura assai più fisica che personale; vuole cioè possedere il corpo della ragazza, più che amarla ed essere riamato. Non ammetterà mai la sua passione, a costo di penose simulazioni. Neppure la combatte per senso di fedeltà alla moglie, ma anzi cerca con penosi sotterfugi di soddisfarla. La sua ex, che egli va a cercare e con la quale va a letto, è da interpretare come un surrogato della ragazza che non riesce ad ottenere. Stanley Baker è in certe scene da pugno nel muso (quando scende le scale in vestaglia) e sfoggia in altre una cattiveria che è crudeltà (come quando rivela a tutti l'adulterio del collega).
Jacqueline Sassard è semplicemente bellissima, e non poteva essere altrimenti per rendere plausibile l'agitazione che semina attorno a sé. Il suo personaggio è una ragazza che si lascia vivere, si lascia spupazzare dall'uno e dall'altro, e si lascia portare a letto con grande indifferenza. E' una donna estremamente superficiale, e in fondo se ne infischia dei tre uomini che sbavano per lei.
L'odio e la rivalità nascosti e repressi divengono palesi solo in quello strano gioco che assomiglia al rugby, dove ci si avventa gli uni sugli altri con violenza e accanimento. Terribile anche la scena al campo di baseball del padre che sulle prima non ricorda di avere una figlia di nome Francesca, e poi soggiunge all'interlocutore "Le porti i miei saluti".
E' un film complesso e solido, che conferma l'abilità di Losey come regista, di Harold Pinter come sceneggiatore, e di Bogarde come attore.
Tutti gli attori sono bravi, e la loro direzione precisissima, perché trapeli dai minimi gesti ed espressioni ciò che nascondono nel cuore.
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