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Sangue e arena

Regia di Fred Niblo vedi scheda film

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La recensione su Sangue e arena

di casomai
6 stelle

Rodolfo Valentino, una rosa tra i denti, accenna pochi, precisi passi di flamenco, e il miracolo torna a compiersi. A 85 anni dalla morte, il fantasma di questo giovane uomo dallo sguardo tra il miope e il malincolico, chissà se presago di un triste destino, continua a sedurci, e a ogni visione dei suoi film ci stupiamo nel constatare che, oltre a essere un sex symbol, era anche un attore di vaglia. Sangue e arena, nonostante il titolo, è un film esangue, con un intreccio che più piatto sarebbe difficile: il giovane Juan Gallardo, dopo un'infanzia modesta, riesce nell'intento di diventare un grande toreador, ma il tradimento consumato ai danni della giovane sposa Carmen ne fiacca fatalmente la fibra morale, portandolo a morire nell'arena. Il tutto condito dagli stereotipi tipici dell'intrattenimento per le masse dei tempi del muto: perfide e sibaritiche pitonesse che portano uomini altrimenti retti sulla via della perdizione, l'idea della morte come giusta retribuzione per i peccati commessi ma anche come forma di riscatto morale, il fato da cui non si può sfuggire neanche volendo, rappresentato dal petulante e inutile personaggio di Don Joselito. Insomma, anche per i canoni estetici degli anni '20, francamente non un granché, anche se non mancherebbe qualche spunto interessante: l'amicizia virile tra il protagonista e il bandito Plumitas (Walter Long, il cattivo con la faccia da pugile suonato di tanti film di Stanlio e Ollio) si presta a parallelismi interessanti (Plumitas soccombe alla polizia poco prima che Juan muoia nell'arena), ma poco approfonditi, e così anche il contrasto tra la naturale sensualità di Juan e la sua sorprendente, quasi preadolescenziale misoginia avrebbe meritato qualche ulteriore chiarimento. Le ellissi nella narrazione sono tante (ma attenzione soprattutto alle copie di durata inferiore ai 60'), ad esempio nel passaggio dalla povertà alla fama del protagonista o nelle scene - poverissime di dettagli - dei combattimenti. Eppure Valentino, complice anche una regia che lo valorizza con  generosi primi piani, riesce a nobilitare questa serie di banalità d'antan con la sua sola presenza scenica, dando vita a un personaggio complesso che passa in modo convincente dalla spensieratezza della giovinezza alla cupezza della maturità, fino alla tragica morte, che il toreador sembra accettare quasi come unico modo per porre fine a una vita eccezionale. E solo cinque anni dopo, anche l'amatissimo divo sarebbe morto, lasciandoci un mito in più e tante domande su quanto ancora, al di là della sua indiscussa bellezza, avrebbe potuto dare all'arte cinematografica.

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