Regia di Sergio Martino vedi scheda film
Occhi femminili spiritati e folli, tristi e impetuosi, quelli di Anita Strindberg, dolci e maliziosi, quelli di Edwige Fenech, gialli e maligni quelli del gatto nero che rievoca gli incubi di Poe e le sue macabre ossessioni. Martino padre e figlio sembrano ripercorrere i sentieri produttivi battuti da Corman: utilizzo dei plot di Mr Edgar Allan, pochi soldi e aperture alle influenze generazionali, come nella sequenza di inizio, dove nel festino orgiastico nella decadente villa in cui abitano Oliviero Rouvigny e consorte, si raduna una gioventù fricchettona e contestatrice (nella musica, nei corpi) di chiara importazione statunitense. Relazioni matrimoniali al limite della perversione, in cui violenza e piacere si mischiano e toccano i confini del sadomasochismo, la pelle come luogo di carezze solamente femminili, l’apparente dischiudersi di una sessualità che si vorrebbe libera e invece ingabbiata in uno sguardo che ne coglie solo la superficiale bellezza, in quanto prodotto commerciale in grado di vendere. Il cinema di genere sfrutta e crea allo stesso tempo, è la sua natura, le immancabili bottiglie di J&B come marchio di fabbrica, la macchina da scrivere con i fogli dove sono battute sempre le stesse parole, un flash improvviso direttamente dalla stanza Colorado dell’Overlook Hotel, Kubrick avrà visto questo film? Connessioni impossibili, armi da taglio che squarciano le nudità come lame censorie, voyeursimo per principianti, ci hanno pensato le donne a portare avanti l’industria filmica italiana degli anni settanta, consapevoli o meno del loro potere, uniche testimonianze ancora tangibili di qualcosa che gli anni avevano sepolto e poi risuscitato, una miriade di titoli talmente bizzarri da chiedersi quante bottiglie di whisky ci siano volute per tirarne fuori così tanti.
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