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Le amiche

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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La recensione su Le amiche

di OGM
8 stelle

Il Michelangelo Antonioni che, sulla via del dramma, attraversa per lungo la commedia, rinnova il cinema italiano con una sorta di neorealismo d’avanguardia: una volta abbattuto, con il cinema del prima dopoguerra, il tabù della miseria, è ora la volta dei costumi proibiti, del matrimonio aperto, delle debolezze inconfessabili come la tossicodipendenza o il suicidio.  La provocazione consiste nel parlarne con disinibita serietà, senza relegare i problemi nella nobile e purificatrice sfera della tragedia classica, né esorcizzarli immergendoli nel registro surreale della satira. Trasportare la materia scabrosa nella realtà significa proporla con naturalezza, piangendoci o ridendoci sopra non per partito preso, ma quando le circostanze narrate effettivamente lo richiedono. Discutere in compagnia dei problemi di coppia, fare una battuta sul sesso o sulla cocaina, scherzare su chi ha ingerito una dose massiccia di sonnifero fa parte dei fuori onda della vita sociale, di quell’intimità il cui senso risiede proprio nella totale libertà di esprimersi, dando sfogo alle ansie, ai dubbi ed alle insicurezze che, com’è logico, circondano prevalentemente quegli argomenti che il comune senso del pudore esclude dai pubblici canali di informazione. Colui che, nella seconda fase della sua produzione artistica, sarà destinato a diventare il regista del silenzio e della incomunicabilità, nelle sue prime opere sembra voler mettere a nudo quella sostanza profondamente umana che è condivisa da tutti gli individui, ma che è sconveniente, o comunque difficile, tradurre in parole. Il confine del non detto segna la soglia della follia (come ne Il deserto rosso) o della perdizione (come in Zabriskie Point) e, in fondo, anche in questo film, nonostante la sfrontata loquacità delle amiche, il fatale epilogo è determinato da ciò che Rosetta da un lato, e Lorenzo dall’altro, non hanno avuto il coraggio di confessarsi a vicenda al momento giusto. Più che l’ipocrisia borghese, a dare la morte è dunque una reticenza per vergogna, eretta a corazza di un animo fragile e tormentato, e, in quanto tale, impresentabile in una società competitiva che – come quella ritratta in questo film – chiede pressantemente di palesare forza e determinazione.

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