Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Con questa recensione voglio ricordare Cesare Pavese a 70 anni dal suicidio, attraverso un film che è anche l’omaggio di un grande regista allo scrittore molto amato.
Dal bel romanzo breve di Cesare Pavese Tra donne sole, che raggruppato con gli altri due brevi* sotto il titolo La bella estate, ottenne nel 1950 il Premio Strega, Antonioni trasse il soggetto di questo bellissimo film, che sceneggiò con Suso Cecchi d’Amico e Alba De Cespedes, per presentarlo, infine, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel settembre 1955, dove fu premiato col Leone d’argento.
Torino, in cui sono ancora visibili le distruzioni della guerra, è lo scenario del film; le riprese en plein air – secondo la tecnica che veniva al regista ferrarese dall’esperienza di documentarista, oltre che da quella del suo primo film – si alternano ai piani sequenza molto numerosi degli interni: degli alberghi, dei ristoranti, delle gallerie d’arte e delle case private, nonché dei nobili palazzi del centro, ricuperati come sedi di rappresentanza dell’alta moda romana.
In questo ambito, con scopi e funzioni diverse, si muovono le “donne sole” del film e del romanzo: Clelia (Eleonora Rossi Drago), Momina (Yvonne Furneaux), Nene (Valentina Cortese) e Rosetta (Madeleine Fischer).
Clelia era appena arrivata a Torino in rappresentanza di una sartoria della capitale con l’incarico di controllare che procedessero speditamente i lavori per l’apertura della filiale staccata della maison.
La drammatica e casuale circostanza del tentato suicidio di Rosetta, nella stanza d’albergo adiacente alla sua, le aveva fatto incontrare il gruppo delle amiche nel quale presto si era inserita anche lei, per cortesia, dapprima, quindi per compassione nei confronti di Rosetta, infine perché quelle donne erano nel giro delle amicizie di Cesare (Franco Fabrizi), l’architetto che, insieme al suo tecnico Carlo (Ettore Manni), stava dirigendo il lavoro per la nuova sede della sartoria
Nel mondo non ancora globalizzato di allora, Torino era simile a un piccolo club, nel quale la borghesia si incontrava, condividendo interessi culturali, aspirazioni, divertimenti e anche amori, non sempre tenuti a bada dai legami matrimoniali. Le donne sole erano, a questo proposito, molto diverse fra loro.
Momina ostentava il proprio cinico disincanto: separata dal marito, che continuava a mantenerla nel lusso, non nascondeva che le piacesse Cesare; Nene, gallerista della Bussola, in Via Po, era un’apprezzata ceramista, che tendeva a minimizzare la propria creatività nel timore di oscurare le mediocri opere di Lorenzo (Gabriele Ferzetti), il pittore che l’aveva sposata, che la invidiava e che con superficiale leggerezza aveva corteggiato Rosetta, ben sapendo che di Nene non avrebbe potuto fare a meno.
Clelia in un momento di sincerità, aveva raccontato a Carlo, di cui si era innamorata, di essere nata e cresciuta a Torino in un quartiere povero e degradato, giocando e condividendo le sue giornate di bambina con i monelli delle case di ringhiera, fino alla sua partenza per Roma, dove aveva lavorato fin da giovane, avendo sempre a mente l’obiettivo prioritario della propria indipendenza economica, anche a costo di amari sacrifici e dolorose rinunce. Era una donna soddisfatta, ancora capace di tenerezza e solidarietà, ma giammai avrebbe accettato un legame matrimoniale con lui, dopo aver conquistato una ragguardevole posizione sociale che appagava le proprie aspirazioni.
Antonioni osserva, prende nota, registra, come in Cronaca di un amore, le attese, le sofferenze, le contraddizioni e infine le sconfitte di donne e uomini, privilegiati solo in apparenza, che vanamente cercano risposte di senso nella libertà ritrovata dopo gli anni bui del fascismo e della guerra, in questo film bellissimo, lontano dal neorealismo della denuncia o della retorica pauperistica, ma non per questo meno emozionante e coinvolgente.
Stupenda la fotografia dalle mille sfumature del bianco e del nero di Gianni Di Venanzo; ottima per qualità e verità l’interpretazione di Gabriele Ferzetti, Madelaine Fischer , Ettore Manni e Valentina Cortese.
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* La bella estate -1940; Il diavolo sulle colline -1949.
Trascrivo qui, circa l’inizio di Tra donne sole, le parole di Cesare Pavese (Il mestiere di vivere, 23 marzo 1949):
“Senza parere, cominciato nuovo romanzo: Tra donne sole“. Lavoro pacato, sicuro, che presuppone una solida organatura, un’ispirazione diventata abitudine. (Riprende la Spiaggia, la Tenda, molte poesie su donne). Dovrebbe scoprire novità.
La morte per suicidio dello scrittore avvenne, in una camera d'albergo, il 27 agosto 1950.
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