Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film
Nell'Olanda del 1944, occupata dai nazisti, la Resistenza fa quello che può nell'attesa che arrivino gli inglesi, i russi e gli americani. Potrebbe riassumersi così questo film dalla trama fittissima, due ore e venti di durata, al centro del quale c'è una cantante ebrea (la scialba Carice van Houten) che vede uccidere tutti i suoi familiari durante un agguato, proprio mentre insieme a loro sperava di poter riparare nel vicino Belgio. Entrata a far parte della Resistenza, la ragazza, grazie alle sue capacità seduttive, riesce ad accedere al quartier generale nazista e a carpire segreti e progetti militari. Tra doppiogiochisti dell'una e dell'altra parte, imprevisti di ogni tipo e olandesi giustiziati un tanto al chilo, la sua impresa si rivelerà assai più difficile del previsto.
Black book, girato dal regista olandese Paul Verhoeven dopo un lungo, volontario e proficuo esilio ventennale a Hollywood (Robocop, Basic instinct, eccetera), è uno di quei film nei quali la trama è davvero tutto. La capacità di raccontare, di piazzare colpi di scena a non finire, di puntare sul doppiogiochismo da ambo le parti sembra essere talmente urgente da far dimenticare al regista (quasi) tutto il resto: dalla recitazione, meno che dilettantesca, alle scene di massa, girate con approssimazione, per non parlare di quelle di azione. Nonostante tutte le difficoltà della messa in scena, il film - tratto da fatti realmente accaduti - si lascia vedere proprio grazie a una trama avvincente e al ritmo serrato, che non ha mai cadute. In attesa di un remake, magari interpretato da attori inglesi (i migliori al mondo), sul film resta l'ombra del revisionismo (in guerra tutti perdono l'innocenza, anche le vittime) e di un pacifismo annacquato da una buona dose di qualunquismo.
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