Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film
Kuala Lumpur. Un ragazzo cinese viene aggredito, lasciato a terra, poi raccolto da un bengalese e amorevolmente accudito. Nel frattempo una donna bada a un uomo in stato comatoso. Su commissione viennese sottilmente interpretata (il pretesto: le celebrazioni per il 250° anniversario dalla nascita di Mozart), Tsai gira per la prima volta nella sua terra d’origine e a essa adegua la propria maniera, rinnovandola all’insegna di un’inedita, astratta politicità: se il paesaggio urbano è sempre concreta forma spirituale, il lento disfacimento degli immobili è quello reale e sentimentale degli immigrati, l’acqua stagnante e i fumi apocalittici, i precipitati della loro agonia silente, all’epoca della crisi economica di fine anni 90. Nella durata, nella fissità delle inquadrature, colme di suoni e vuote di parole, la minuzia realistica si fa sospensione surreale, lo studio urbanistico allucinazione. Lee Kang-sheng, attore feticcio, è contemporaneamente il corpo sedotto dell’uomo ferito e quello inerme dell’uomo in coma: l’uno è il desiderio – limitato, (dis)educato – dell’altro, un possibile, comunque frustrato, orizzonte di vita da emarginato. E l’aria di Luci della ribalta sul palcoscenico di un materasso è il teatro finale di un tenero abbraccio, ma è pur sempre teatro, dichiarato: anche il credere nella cura è solo un’ipotesi vaga per un cineasta che non ha mai creduto nell’amore.
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