Regia di Dino Risi vedi scheda film
Si può etichettare In nome del popolo italiano come un film sconvolgente? Si può. È tale non tanto per quel che dice, ma per quel che è oggi. Post tangentopolisti quali siamo (o non ancora?) o quali dovremmo essere, fate voi, non possiamo non individuare in questo spietato affresco grottesco sul vizio preferito dagli italiani (fregare, sempre e comunque) più di un rimando alla nostra vita quotidiana. Era il 1972, eppure sembra ieri (per quanto è oggi).
È un film sconvolgente (è un’iperbole, certo) soprattutto per come mette in cattiva luce entrambi le posizioni. Se la parte rappresentata da Lorenzo Santenocito è ovviamente quella più platealmente schifosa, l’arroganza meschina e fascistoide del riuscire in ogni situazione a cascare in piedi, lo schieramento avversario capitanato dal giudice Bonifazi non ci esce certo senza ferite: pur di condannare un delinquente, che tuttavia non ha commesso il reato per il quale è stato incriminato in ultima istanza, Bonifazi fa scomparire la prova assolutoria.
Infatti, la domanda lancinante che attraversa questa amarissima commedia sociale è semplice: possiamo accusare un criminale di un qualcosa che non ha commesso solo per farli scontare tutto il resto? Un film durissimo che non lascia speranze: sotto la scorza brillante e satirica, Risi e i suoi magnifici sceneggiatori Age e Scarpelli costruiscono un inquietante ritratto sull’opportunismo interpretato sia dall’ala giustizialista che da quella deliberatamente delinquenziale.
E non mancano stoccate all’arretratezza infrastrutturale di un Paese ancora in mano all’insipienza. Dopotutto, dice quella lingua sapida di Risi, se il Paese è in mano a personaggi come Santenocito (ma anche Bonifazi) è difficile pretendere la normalità. Siamo una società malata dominata dal trasformismo e dal funambolismo. Ce ne meritiamo cento di Tangentopoli. Profetico, peccato non sia stato seminale.
Tognazzi, nel ruolo amarissimo dell'inflessibile magistrato, si lascia tentare dalla corruzione personale da parte di se stesso; Gassman grintoso e volgare, rozzo e meschino, laido e profetico, trasformista e pluriforme (la folla festante è da antologia).
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