Regia di Mahamat-Saleh Haroun vedi scheda film
Il Ciad è sconvolto dalla guerra civile e attonito per la decisione del Ministero della Giustizia e della Verità di concedere l’amnistia a tutti i criminali di guerra responsabili degli eccidi. Atim ragazzo adolescente orfano di padre ammazzato durante gli scontri riceve dal nonno cieco una pistola in regalo esortandolo ad usarla contro il responsabile della morte del genitore. Daratt- La stagione secca è un bellissimo titolo, è la secchezza di una terra arida e polverosa, soffocante di sole e macerie. La stagione secca nel cuore della gente ormai disillusa e incapace di provare altri sentimenti se non quelli di disperazione e vendetta. Una parola sola che definisce un mondo in sfacelo, laconica e riassuntiva degli stati d’animo dei protagonisti che comunicano fra loro con pochissime parole, discorsi secchi di idiomi, di passione, preferendo il lancinante sguardo carico di giustizia perduta e rancore alla fallace ambiguità dello scambio verbale. Tra Atim e Nassara l’assasssino di suo padre che ormai si è rifatto una vita e lavora come panettiere, si instaura un rapporto filiale dominato dal rancore del ragazzo che non ha trovato il coraggio di ammazzare subito l’uomo e dell’uomo che vede nel ragazzo il figlio mancato. La stagione secca e nell’asciuttezza del ventre materno, la moglie di Nassara che perde il figlio che teneva in grembo. Nei loro sguardi è riassunta tutta la cultura della violenza e della sopraffazione che ha cresciuto una generazione attraverso 40 anni di stagione secca. Asciutto come la diegetica del film stesso, minimale nella messa in scena i cui lunghi momenti di silenzio dei due protagonisti vengono riempiti dai rumori della vita circostante in presa diretta, (radio accese, spari, traffico e versi di animali. Lo scalpiccio di passi sulla terra bruciata) in una commistione tra fiction e dossier documentaristico che rende la vicenda dei due antagonisti maledettamente vera. Atim cresciuto all’ombra della guerra naviga con la sensazione di morte nel cuore attraverso i giorni scanditi dal lavoro in panetteria, unico punto di contatto con il vecchio ex militare pentito delle azioni commesse in guerra che lo instrada al lavoro. Piano piano ognuno si riempie dell’altro, scacciando l’aridità che connota le loro vite. Alla vendetta si sostituisce la soddisfazione dell’arte del fare il pane, elemento fortemente allegorico per l’epica antropologica che questo alimento nella sua consistenza fatta di acqua, terra e sudore riesce a evocare. Alla solitudine si sostituisce il naturale bisogno di tramandare conoscenza e cultura, creare un essere umano plasmando la sua forma esattamente come si plasma e si da forma al pane. Il rapporto tra i due protagonisti è quindi connotato da una forte componente religiosa, sacra come la creazione, misteriosa come la salvezza, ancestrale elemento di congiunzione per qualsiasi confessione, al di là della fede mussulmana praticata da Nassara, nel film appena accennata..
Il finale, durissimo e dolce al tempo stesso mostra Atim risparmiare la vita a Nassara di fronte all’istigazione all’omicidio da parte del nonno cieco di Atim desideroso di vendetta, davanti al quale entrambi si presentano. I due spari si perdono nel futuro, lontano dalla testa di Nassara e Atim si allontana puro come una goccia d’acqua, la prima goccia d’acqua in grado di porre fine alla Daratt, la stagione secca. Premio speciale della Giuria di Venezia 2006.
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