Regia di Luigi Magni vedi scheda film
Comincia con una frase che la dice lunga sulla natura ideologica dell'operazione “Non è la fine perché arrivano gli italiani: arrivano gli italiani perché è la fine”, come a conferma di tutte le convinzioni disilluse del protagonista, sulle vecchie generazioni assassine, sulle rivoluzioni ideologiche ed anticlericali, intese come cambiamento radicale di stile di vita, nonché l'abolizione indiscussa ed indiscutibile di qualsiasi tipo di dittatura e di sottomissione. Il “Papa Re”, viene giustamente mostrato come un corrotto schiavo del denaro, ma ancor di peggio, vengono mostrati quelli che lo circondano: i cardinali, stupratori, pedofili, egoisti, assassini, in una parola, i veri senza Dio, che servono come allegoria, neanche tanto velata di una realtà assoluta, che ancora oggi esiste, e cioè che, la Chiesa, e quasi tutte le sue componenti, siano la cosa più lontana da Dio e dalla religione cristiana che possa esistere, o essere concepita. Impossibile è, dunque, evitare un raffronto con i tempi in cui è stato girato: quasi dieci anni dopo il Sessantotto, in un epoca ancora lontana dall'omologazione e dell'appiattimento delle coscienze portate dall'avvento della società di individui come Craxi e Berlusconi (e cito solo i più celebri), anni in cui la gente possedeva ancora la capacità di pensare e di riconoscere e disprezzare dei dittatori, quando li vedeva. C'è una prima parte, da commedia in costume, davvero deliziosa, divertente in alcuni frangenti, esilarante in altri (i duetti tra Manfredi ed il suo affiliato), commovente in altri ancora (l'interrogatorio dei tre attentatori, in cui il protagonista tenta di riconoscere suo figlio). Poi Magni cambia registro, e tramuta la vicenda in vero e proprio racconto di formazione ideologica e rivoluzionaria, un film politico al cento per cento, tesissimo in alcuni frangenti; di questi rimangono memorabili, il processo con l'intervento di Manfredi che tenta di difendere i condannati e con i cardinali che non lo ascoltano, il dialogo tra lui e l'inquisitore del Papa (che fa il lavaggio del cervello alla famiglia delle vittime), e la lettera finale, con il controllo dell'ora ed il conseguente, drammatico, cambio di frase (“saranno... sono stati giustiziati”). Ma la vera abilità del regista, sta più che altro nel saper cambiare registro così rapidamente, e quasi in ogni scena, mantenendo però sempre alta la credibilità, e sempre presente il sentimento dell'opera davvero immenso). È un peccato, quindi, che una pellicola così ambiziosa e riuscita, venga fatta concludere in un finale tanto retorico, e completamente fuori posto: nella scena dell'omicidio di Cesarino, si rasenta quasi il ridicolo, con il marito tirato a lucido, la madre che corre dal figlio guerrafondaio senza versare una lacrima, ed i deliri assurdi di quest'ultimo, nonché l'immediata fuga dell'ignorante fidanzatina del ragazzo. È proprio un peccato, perché immediatamente dopo, c'è una delle scene più belle e potenti di tutto il film: gli inquisitori vanno da Manfredi che sta celebrando la messa, e quando passa di fronte al corrotto “capo”, mentre sta dando la comunione, gli dice “A te no”, e viene giù la sala (metaforicamente parlando). Riamane comunque un opera importante, che si fa notare soprattutto per un Nino Manfredi in stato di grazia che buca lo schermo, una colonna sonora bellissima, ed una storia fondamentalmente intelligente ed attuale.
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