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The Queen. La regina

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Queen. La regina

di jonas
8 stelle

Una volta superato il leggero senso di straniamento che si prova nel vedere interpretati da attori alcuni personaggi ben vivi e ben noti della cronaca contemporanea, il film si fa apprezzare. Non è un biopic tradizionale, ma si concentra quasi tutto sui giorni immediatamente successivi alla morte di Lady Diana, nei quali la famiglia reale venne criticata dall’opinione pubblica per la freddezza mostrata, così in contrasto con l’emozione della gente. Certo, la defunta principessa non aveva fatto molto per accattivarsi le simpatie della regina, ma in questo caso non si tratta tanto di una ripicca quanto di una semplice questione di regole: a Buckingham Palace non viene esposta la bandiera a mezz’asta, perché la bandiera serve esclusivamente a segnalare la presenza del sovrano a Londra, non viene esposta a mezz’asta neanche per la sua morte; si è sempre fatto così, e la regina non capisce perché ora si debba fare diversamente. Il senso del film è questo: l’impatto della modernità su un complesso di regole codificate da tempo e ormai cristallizzate. La modernità può incarnarsi nel volto tranquillizzante del primo ministro Tony Blair, eletto a larga maggioranza grazie a un programma che prometteva cambiamenti, ma può avere anche aspetti meno rassicuranti: il principe Carlo, che fiuta l’aria e cerca furbescamente di sganciarsi dai familiari con la speranza di poterne approfittare (si parla di abdicazione, addirittura di repubblica); il banchiere della City che, nonostante la sua inesperienza di caccia, abbatte il cervo che aveva suscitato l’ammirazione della regina; soprattutto, l’impensabile reazione popolare che trasforma in idolo (in icona, si dice oggi) un personaggio discutibile e grottesco come Lady Diana. La regina non capisce, ma si adegua (a differenza del consorte Filippo, raffigurato come un ottuso conservatore): grazie ai consigli del fedele Blair, riesce a superare la crisi; e Blair, che prima la guardava con un distacco sospettoso e un po’ ironico, comincia a stimarla davvero. Alla fine lo spettatore sente qualcosa che può essere definito da una parola oggi fuori moda (giustamente, per l’uso che se ne è fatto in passato): patriottismo. Sia chiaro: il patriottismo che si traduce in attaccamento a una tradizione millenaria, non quello che i nostri borghesissimi ex reucci di casa Savoia hanno cercato di suscitare nei sudditi a furia di guerre sbagliate. Per capire la differenza basta confrontare la scelta di darsi a una fuga vergognosa, abbandonando l’esercito privo di ordini dopo l’8 settembre, con la risposta che la regina madre diede a chi, nel 1940, le consigliava di mandare le figlie al sicuro in Australia: “le ragazze non partono senza di me, io non mi muovo senza mio marito e sua maestà non lascerà mai l’Inghilterra”.

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