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The Queen. La regina

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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La recensione su The Queen. La regina

di (spopola) 1726792
8 stelle

Frears ricompone con precisione e insinuante cattiveria (grazie anche al contributo di un’ottima sceneggiatura che “pesa” parole e gesti finalizzandoli sempre e solo al risultato) i pezzi del mosaico, ovvero la ricostruzione critica degli avvenimenti che si interseca con perfetta aderenza con gli spezzoni recuperati dalla realtà dei telegiornali

Una satira feroce e tenera al tempo stesso, questo “The Queen” che è valso a Venezia il meritatissimo riconoscimento per la migliore interpretazione a una superba Helen Mirren, attrice di rango e di qualità eccelse che “reinvesta” senza tentazioni meramente imitative e con risultati sorprendenti anche per aderenza fisica, la “sua” Elisabetta II fotografata nel “tragico momento” della possibile disfatta, i giorni della danza macabra mediatica intorno a una bara - quella campagna di “folle speculazione emozionale” che riuscì a sconvolgere non solo l’Inghilterra, ma il mondo intero - che avrebbe potuto persino “costarle” il regno o alienarle definitivamente il consenso e le simpatie del “suo” popolo. Classicamente moderna la mano di Frears nel ricomporre con meticolosa precisione e insinuante cattiveria (grazie anche al contributo di un’ottima sceneggiatura, solo all’apparenza “minimalista” ma in realtà molto “meditativa e ragionata” che “pesa” parole e gesti senza sbavature o concessioni, “finalizzandoli” sempre e solo al risultato) i pezzi del mosaico, ovvero la “ricostruzione critica” degli avvenimenti che si interseca con perfetta aderenza e senza cesure, con gli spezzoni recuperati dalla realtà dei telegiornali, rendendo così quasi “documentaristica” la mordace corrosività di questo ritratto al vetriolo che, mettendo al centro dell’impalcatura la sovrana e il suo entourage poco “rassicurante” (dalla stolida arroganza di Filippo alla opportunistica vacuità di Carlo preoccupato soprattutto di “recuperare” spazio per il suo orticello personale) fornisce al tempo stesso un quadro fortemente critico dell’intera Inghilterra e di tutti i suoi personaggi “chiave”. Non solo la famiglia regnante quindi, ma anche le figure anacronistiche ed emblematicamente “fuori tempo” – per noi – del protocollo regale, per arrivare fino alle “marionette” indecenti che rappresentano la reggenza governativa del paese – e verso di loro vivaddio non c’è nemmeno quel residuale “trasporto devozionale di rispetto” che lega ancor oggi ogni inglese, regista compreso, all’istituzione della monarchia e alla sovrana (l’innamoramento verso Diana era solo uno spostamento dell’asse) così visceralmente radicato da non poter essere estirpato completamente, nonostante la modernizzazione, e si può davvero essere acidi fino in fondo, metterne alla berlina la presupponenza e il “carrierismo”, il pressappochismo e la capacità camaleontica di modificare secondo convenienza atteggiamenti ed opinioni, o persino la propria posizione ideologica. Ecco che allora Blair e la sua invero poco “dolce metà” ci vengono rappresentati con tutto il devastante cinismo che li contraddistingue, una coppia piccolo borghese avida ed arrogante, capace di cavalcare l’onda sempre e comunque, contrapposta alla disastrata realtà di una monarchia in decadenza ma ancora “necessaria” (qualcuno potrebbe immaginare l’Inghilterra senza regnante?). In questo contesto quasi surreale, nemmeno lo staff istituzionale (consiglieri, ministri, addetti stampa e via discorrendo) ha una decenza comportamentale di maggior spessore umano: risulta anzi analogamente compromesso (se non di più) nei complicatissimi giochi di alleanze e voltafaccia fra appelli, interviste e comunicati stampa, che tentano con ogni mezzo a disposizione di intaccare l’inamovibilità della regina, ciascuno cercando di portare acqua al proprio mulino e consolidare la propria posizione personale. Riusciamo così a capire molto di più di questa politica senza morale, radici o convinzioni che uniforma ormai tutto il mondo rendendolo un unico, saccheggiato paese (emblematico e illuminante il colloquio conclusivo nella seconda udienza con la sovrana, che con pochissime battute fotografa e proietta, preconizzandola, la “crisi” attuale,- analogo momento in caduta libera - del controverso percorso del governo in carica e del suo primo ministro). Ritratto di una monarchia in crisi dunque, costretta a scendere dal piedistallo e ad “umanizzarsi” per “resistere” e risalire, e al tempo stesso una ulteriore conferma della devastante capacità di manipolazione del pensiero delle masse che possiedono i media se orchestrati alla bisogna per “creare” o distruggere miti o per orientare i giudizi): Frears, partendo proprio dalle elezioni di Blair e concentrandosi sulla fatidica settimana che separa la morte di Diana dal momento del suo funerale e sull’isteria collettiva che caratterizzò quei momenti, focalizza il suo sguardo sulla perdita del prestigio regale di casta, ormai semplicemente legato all’immagine – e quindi molto più”picconabile” e precariamente instabile di una volta - e rappresenta al tempo stesso il dignitoso sbigottimento di una donna coriacea e di altra concezione che non capisce né vuol capire il mutamento, ma deve arrendersi all’evidenza e cedere, una persona di differente e antica formazione ancora legata alla concetto della “designazione divina”del compito, che se può contrastare e contenere la minaccia di ciò che rappresentava in vita la “rivale”, non è sufficientemente attrezzata a fare altrettanto dopo i tragici avvenimenti della sua morte che ne elevano il simulacro a icona e che rendono quindi impari la lotta. Per questo si “dovrà” adeguare per non soccombere contenendo la “dignità regale” peri scendere fra il suo popolo a “confrontarsi” con le reliquie offensive fra i fuori davanti al cancello del palazzo, pur mantenendo intatto il risentimento e l’egoismo, il freddo e insensibile distacco direi , che la portano ad essere più coinvolta e “smarrita” per la morte di un cervo che per quello della madre dei suoi nipoti, sentimenti questi tuttu perfettamente stigmatizzati da un regista solo in apparenza meno “arrabbiato” del solito, ma certamente non meno corrosivo, che utilizza semplicemente un linguaggio più sottile e penetrante per evitare il rischio della “caricatura” che una sottolineatura pesante avrebbe reso possibile e inficiato il discorso (è sorprendente come Frears sia capace di “adeguare” il suo stile alla materia trattata, modificandosi profondamente ogni volta, ma rimanendo personale e riconoscibilissimo sempre). Non c’è evidentemente molto spazio in questo disegno “mirato” per rappresentare gli Specer (ci si limita alle immagini del reale) ma il giudizio non risulta tenero per nessuno, nemmeno verso Diana (che con felice intuizione, si intravede solo recuperata da spezzoni di repertorio) personaggio perfettamente integrato nella volgarità dei nostri tempi, che “sapeva” utilizzare meglio di altri e con indubbia capacità “comunicativa”, gli strumenti della esposizione mediatica resi disponibili da stampa e televisione. Un’ultima considerazione a latere: le democrazie mature e compiute non hanno paura della satira politica e non gridano (quasi) mai al “complotto” o al reato di “lesa maestà” nemmeno quando il coltello affonda profondamente nella piaga come in questo caso: i personaggi messi alla berlina magari masticano amaro, ma stanno necessariamente al gioco, ed è segno di una maturità decisamente invidiabile questa, una delle caratteristiche (ma non solo) che mantengono alto e inalterato nel tempo e nonostante tutto, il prestigio dell’Inghilterra e degli inglesi, una lezione che la nostra classe politica dovrebbe imparare. Da noi infatti, dove per altro la capacità di critica è già di per sé più flebile e dozzinale e spesso la mano è meno incisiva, si rumoreggia indecentemente per molto meno!!! Un bagno di umiltà oggettiva, sarebbe indispensabile, non credete?

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