Regia di Stephen Frears vedi scheda film
The Queen di Stephen Frears è un gran film. E non solo per la finissima interpretazione, non solo mimetica ma profondamente introspettiva, di Helen Mirren. Ma anche per come mette in scena la crisi di una persona anziana e di un'istituzione arcaica davanti all'imprevisto che squarcia l'illusione che il mondo sia rimasto uguale al passato.
31 agosto 1997: lo schianto della Mercedes sui cui la principessa Diana e Dodi Al Fayed cercavano di sfuggire ai paparazzi manda in frantumi più di una certezza che albergava nella Corte reale e nella mente della regina Elisabetta II, giunta ormai a 71 anni di cui 45 di regno. Elisabetta e soprattutto il marito principe consorte Filippo si illudono di far passare il dramma in sordina con un funerale privato organizzato dalla famiglia Spencer, restare a Balmoral (il castello amatissimo in Scozia dove Elisabetta sarebbe morta venticinque anni dopo) a terminare le vacanze e gestire il tutto in maniera discreta al riparo dall'attenzione morbosa dei media, convinti come sono che sia disdicevole per un sovrano manifestare apertamente i propri sentimenti e come sia invece fondamentale attenersi scrupolosamente a ciò che prevede il protocollo per il decesso di una ex principessa ormai uscita col divorzio dalla Casa Reale. La sovrana, che è sicura di avere il polso del Paese dall'alto della sua lunga esperienza, non si aspetta che giorno dopo giorno il lutto dei britannici per la morte della principessa monti come una marea inarrestabile, mentre crescono le critiche per l'eccessivo distacco e l'apparente indifferenza della casa reale (show us you care recita il titolo più celebre di quei giorni). Molto più sintonizzato sul comune sentire sembra il giovane nuovo Primo Ministro Toni Blair, che dopo aver definito Diana “principessa del popolo” inizia un'opera di persuasione sulla sovrana per spingerla a venire incontro alle richieste della cittadinanza.
Il film di Stephen Frears è giustamente ricordato, anche in questi giorni di lutto per la morte della più longeva sovrana della storia inglese, per il ritratto smagliante che ne seppe comporre una Helen Mirren al vertice della sua bravura. Oltre alla sorprendente somiglianza e perfetta imitazione dei gesti e dei modi di parlare e di porsi di Elisabetta, l'interpretazione della Mirren le valse la Coppa Volpi e l'Oscar anche in virtù della sottigliezza dell'introspezione psicologica del personaggio che risulta evidente in ogni scena.
Tuttavia il film di Frears non è solo questo: la sceneggiatura scritta da Peter Morgan (anch'essa premiata alla Mostra di Venezia 2006 con l'Osella d'Oro) mette in scena la crisi di una persona anziana e di un'istituzione arcaica davanti all'imprevisto che squarcia l'illusione che il mondo sia rimasto uguale al passato. Uno sconvolgimento che il film racconta in tutta la sua durezza, ma senza mai perdere il rispetto e l'empatia verso la sua coronata protagonista. Lo script fornisce all'attrice una solida base per il suo ritratto di una donna usa ad essere venerata e che deve per la prima volta ingoiare il suo orgoglio davanti al giovane e rampante primo ministro, che nella loro prima udienza ella aveva promesso di consigliare dall'alto della sua quarantennale esperienza iniziata con Winston Churchill e infine si troverà invece ad essere consigliata, dovendo piegarsi alle indicazioni e richieste di un politico scaltro e flessibile.
La cronaca cinematografica di quei giorni convulsi del settembre '97 è serrata e senza inutili divagazioni ci immerge in uno di quei frangenti in cui la cronaca trascolora nella Storia, rispettando i fatti noti e rendendo verosimili le sue ricostruzioni dei retroscena della Corte e della politica. Frears mantiene un sobrio equilibrio di tono, si tiene ben lontano sia dall'agiografia che dalla dissacrazione, evita ogni trappola retorica ed ogni concessione all'assurdo complottismo a cui la morte di Diana ha dato stura. E' rigoroso nello svelare l'iniziale spaesamento e inadeguatezza dei Windsor, ma anche rispettoso di un momento che per molti membri della famiglia reale era di profondo dolore e della comprensibile difficoltà di una Regina a risolversi a rendere omaggio a donna che ai suoi occhi aveva cercato di fare a pezzi quella reputazione della famiglia che per la sovrana era quanto di più caro aveva sempre cercato di proteggere. Ho amato il pudore con cui il film mostra il pianto di una donna che aveva sempre cercato di proiettare un'immagine di imperturbabilità, riprendendola di spalle quando, lontana da tutti in mezzo al bosco della tenuta di Balmoral, si permette questo sfogo emotivo.
Tra gli altri personaggi, il principe Filippo (James Cromwell) appare come il più insensibile e ottuso, quando insiste che ai ragazzi William e Harry che hanno appena perso la mamma farà bene una battuta di caccia al cervo e disprezza i funerali di Diana come “un circo equestre pieno di ballerine e omosessuali”. Invece Carlo (Alex Jennings) è ritratto con maggiori sfumature di intelligenza e umanità, come uno dei pochi nella Royal Family a comprendere la necessità di abbattere il muro di distacco con il popolo, oltre che sinceramente preoccupato per i figli. Il regista sceglie con sensibilità di tenere i principi orfani fuori scena, mostrandoli solo in lontananza. Anche da Diana mantiene le distanze, la sfortunata principessa è presente solo per mezzo dei filmati e fotografie d'archivio, così come suo fratello Charles Spencer nella sua orazione funebre.
Sul fronte governativo, si dividono la scena Tony Blair (in un'ottima caratterizzazione di Michael Sheen anche lui ben oltre la mera mimesi), certamente ansioso di non sfigurare agli occhi dell'elettorato ma anche affascinato ed ammirato dalla stoica figura della Regina e sinceramente preoccupato dei danni che la monarchia rischia di infliggere a se stessa, la moglie Cherie dalle malcelate simpatie repubblicane e lo scaltro spin doctor Alastair Campbell, abilissimo a trasformare questa tragedia in un volano di consenso politico per il nuovo governo laburista.
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