Regia di Emilio Estevez vedi scheda film
Ventiquattro ore nell'Hotel Ambassador: il vecchio ex portiere dell’albergo che passa le sue giornate giocando a scacchi con un suo vegliardo amico, il cameriere messicano che soffre il razzismo ma trova l’amicizia di un imponente cuoco nero; il manager dell’hotel sposato con la saggia parrucchiera ed amante di una giovane centralinista; una ragazza che sposa un suo compagno di scuola per non impedirli di partire per il Vietnam; una cantante alcolizzata sul viale del tramonto sposato ad un inetto ex musicista; un’annoiata coppia borghese che spende in scarpe e gioca a tennis; due ragazzi che scoprono “le gioie” del LSD grazie ad uno spacciatore filosofo; il responsabile della cucina che si sforza a non essere razzista; il capo della campagna elettorale di Bobby che confida molto nel popolo americano e nell’uomo che sostiene. Le loro aspettative nell’uomo nuovo vengono uccise nel momento in cui viene assassinato RFK. Un film splendido, inconsueto, disperato, eppure carico di speranza.
Questo hotel Ambassador è l’ideale microcosmo per raccontare uno spaccato dell’America fine anni sessanta e l’epoca di Robert Kennedy, candidato alle primarie democratiche per la presidenza degli Stati Uniti nonché simbolo per una nazione sventurata ficcatasi in una sporca guerra e solleticata dalla voglia di ribellione, mitigata certamente nella dimensione liberal del partitone dell’asinello. L’America che sfila nell’hotel Ambassador, con le sue disgrazie e le sue speranze, le sue delusioni e le sue illusioni, si proietta come ideale microcosmo per raccontare il contesto di un popolo in crisi d’identità e in attesa del cambiamento, che non arriverà mai e lascerà nello sconforto i personaggi emblematiche figure della innocenza definitivamente perduta. E l’inferno del Vietnam non farà che altro che affondare ulteriormente la nazione. Cast all stars e very liberal con qualche personaggio di troppo che il direttore Estevez, generoso amante della digressione, non sa del tutto gestire, ma sono notevoli almeno William H. Macy come manager, il duetto senile tra Anthony Hopkins e Harry Belafonte, Demi Moore cantante alcolizzata e Sharon Stone parrucchiera cornuta da Oscar.
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