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I figli degli uomini

Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film

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La recensione su I figli degli uomini

di lussemburgo
8 stelle

Ogni orrore in nuce nella società contemporanea è ormai esploso. Un'apocalisse interiore ha tolto significato all'esistenza stessa. Gli esseri umani non hanno più futuro perché le donne sono diventate improvvisamente e misteriosamente sterili, la vita ha perso significato e valore. Fascismi, razzismi, terrorismi sono divampati ovunque, senza remore, senza il dubbio che la vita possa ancora significare qualcosa di diverso di un presente sfrenato. A tutti viene distribuito un kit di suicidio morbido, da utilizzare in caso di necessità per abbreviare il breve lasso di sofferenza rimanente. Il mondo si spegne a poco a poco con la morte degli uomini già nati, senza ricambio generazionale ogni tensione perde le regole, l'arte è un oggetto di culto elitario, le società sono attentamente segregate per contingentare i flussi migratori. La repressione regna indisturbata, e i morti si affastellano sul selciato delle strade senza turbamento per nessuno. Cupo e malinconico, disperatamente rassegnato come lo sguardo del protagonista, Clive Owen, il film ritrae un mondo in rovina, privo di ogni possibilità di redenzione per l'annullamento stesso dell'idea di futuro, della trasmissione del senso, del valore della vita.
Ambientato in Inghilterra, con un implicito omaggio a serie e film di anticipazione posta-apocalittica, I figli degli uomini crea un disagio profondo con la sua plausibilità grafica aliena da qualsiasi patinatura, dove anche gli inserti digitali sono perfettamente camuffati dall'aspetto sporco e corrotto della realtà. Del tutto casualmente, emerge da questo caos una ragazza incinta, simbolo di una speranza ormai inconcepibile, che deve essere traghettata attraverso il paese per trovare rifugio presso una comunità che la possa accudire e preservare.
La regia di Cuarón, regista del miglior Harry Potter, è attenta alla continuità, predilige il piano-sequenza, la costruzione di set completi dove la continuità filmica restituisce speranza alla mancanza di continuità generazionale, in cui gli attori si muovono come semplici corpi in una profondità di campo che li ingloba e rende ingredienti di un set più ampio e realistico, contribuendo a creare una forte tensione emotiva interna alla scena stessa.
In questo film triste e disperato, il regista non lesina una minima luce di speranza. Una speranza irrinunciabile per continuare a credere in qualcosa, o che qualcosa possa in qualche modo migliorare. Ma rimane un atto d'accusa contro il mondo attuale, che ha già in sé i germi di quella mortificazione, di quella degenerazione e imputridimento sociale in cui la morte colpisce spesso e a caso.

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