Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film
Dalla parabola liquida di Respiro alla traiettoria onirica di Nuovomondo. Un denominatore comune lega i due film di Emanuele Crialese: il ragionare intorno alla consistenza non tanto, o non solo, di corpi e cose ma delle storie, con e senza “s“ maiuscola. L’idea di partenza di Nuovomondo è un’esperienza personale del regista, che si accorse di rimpiangere l’Italia solo durante un lungo soggiorno negli Stati Uniti. L’estetica è invece ispirata a dagherrotipi d’epoca, quelli (assolutamente autentici) che riprendono i migranti di cent’anni fa accanto a carote giganti, fagioli mostruosi e contesti bigger than life. In mezzo a questi estremi si muovono figure quasi solo accennate: i migranti siciliani nella prima parte tutt’uno con lo spazio, la loro voce musicale come il vento. Non (didascalicamente) definiti nei caratteri e nelle psicologie ma descritti come “elementi”: Salvatore, Donna Fortunata, Angelo e Pietro come la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco. Nella seconda parte (il viaggio) si aggiunge anche la Luce, una donna inglese che stride con i compagni di nave brutti e sporchi per poi rappresentare proprio lei, agli occhi degli altri, l’elemento straordinario, quasi fiabesco. Terza e ultima parte quella geometrica, freddissima, matematica di Ellis Island dove gli immigrati (non solo siciliani) vengono passati al setaccio attraverso test e umilianti prove psicologiche. Nuovomondo di Emanuele Crialese si muove ispirato tra il materico e l’onirico. Lamerica desiderata quasi per riflesso pavloviano dagli uomini e dalle donne che partono è un limbo lattiginoso, un’illusione che solo la gelida razionalità della burocrazia riesce a sciogliere e a mostrare realmente. La bravura di Crialese è quella di rendere programmatiche le cose più evidentemente letterarie (i personaggi, il viaggio, gli ambienti) e di lasciare sottopelle l’aspetto più radicalmente politico. Travolto dalla passione descrittiva e da uno stile che riesce a passare dal lirismo coppoliano della parte siciliana al colpo di scena tornatoriano del viaggio, con il bastimento che prende il volo invece di navigare, il regista rischia di scivolare sugli eccessi di visione e i simbolismi. È solo per troppo amore nei confronti di un cinema che avvolge, e per questo non lascia indifferenti.
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