Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film
La Sicilia di inizio Novecento è bella, selvaggia, povera. Così Salvatore (Vincenzo Amato) fa voto al cielo di condurre la famiglia in quello che potrebbe essere l'Oceano della salvezza, il Nuovo Mondo. Durante il viaggio, Salvatore conosce Lucy (Charlotte Gainsbourg), affascinante giovane donna inglese che gli propone di impalmarla a New York. La ragazza intende ritornare in America da signora. Ma il viaggio non sarà per tutti i migranti che, come Salvatore, cercano una terra promessa, l'approdo sperato.
STRUTTURA
L'opera di Crialese, magnifica nel suo austero sviluppo, è spezzata nettamente in due tronconi: la prima parte, sulla nave, che ben documenta il viaggio, tra paure e speranze di questi siciliani che hanno venduto tutto per affrontare la traversata, cui fa da prologo una lunga sequenza che filma la natura paesaggistica della Trinacria, ed una seconda parte, più breve ma non meno intensa della prima, con i viaggiatori rinchiusi ad Ellis Insland, in quel campo di concentramento naturale, privati della possibilità di vedere la città agognata. Questa dimensione naturale in cui il regista romano ma siciliano d'adozione, confina i suoi personaggi, cui mostra in ogni metro di pellicola un amore smisurato, consente allo spettatore di entrare lentamente in simbiosi con il carico emotivo che ciascuno degli interpreti reca con sè. La straordinaria genesi di una nuova vita è così sentita, da lasciare ai migranti la possibilità di ritrovarsi ogni tanto in una visione onirica e sospesa che ben mostra, senza fornire spiegazione alcuna (ma hanno davvero poi una spiegazione, certi sogni?) l'incertezza del sapere se essi hanno fatto bene. Si può vendere tutto, i propri beni, la propia dignità (alla bella Lucy, che parla d'amore, Salvatore risponde "e quale amore? nuje manco ce cunuscimmo"), accettare che una specie di tribunale di inquisizione stabilisca il grado d'intelligenze per acconsentire ad un ingresso in uno stato altrimenti negato, per la propia famiglia? Sì. La madre di Salvatore, il figlio sordomuto (cui è riservato il colpo d'ala finale), vorrebbero tornare a casa. Ma quale casa? Salvatore sa che quella casa non c'è più. E non solo figurativamente, perchè l'ha venduta. Forse, non è mai stata davvero sua.
STILE, FOTOGRAFIA, SCENE, COSTUMI, MUSICHE
Un film è una storia, ma anche stile, rigore, racconto per immagini, ellisse, musica, suoni, colori, scene. E Crialese usa tutte le sue armi per rafforzare un soggetto altrimenti debole: tanto più, infatti, esso appare semplice, lineare, quasi elementare nel suo sviluppo, a maggior ragione la sintesi con cui l'autore lo fotografa trasforma la materia in epica. L'alternarsi di campi medi e primi piani, l'uso (ma non l'abuso) di ralenty, che confrontano le diverse motivazioni dei naviganti, lo spezzettamento in finzione e documentario, il sapiente dosaggio di materia percettiva irreale, tutto concorre a fare di questa pellicola una delle più affascinanti del primo decennio del XXI secolo. La Luce (non a caso, il nome della protagonista - e la sua eterea presenza, bellissima e diafana - illumina tutto il film) che sembra stendersi pietosa all'arrivo della terra promessa, si stempera nei banali test psico attitudinali cui vengono sottoposti i protagonisti del viaggio ad Ellis Island: un'umiliante gara di intelligenza perchè, sostiene il medico statunitense "il deficit di apprendimento è ereditario e contagioso: non possiamo lasciare che andiate ad infettare casa nostra con la vostra ignoranza". Ed è proprio nella lunga sequenza di interrogatori, quando il tempo sembra fermarsi, quando Salvatore deve alzarsi, con i suoi compagni dalla prigione in cui è confinato, per scoprire che "le case qui sono alte fino al cielo", che Emanuele Crialese diventa da promessa certezza: eleva lo sguardo all'orizzonte infinito, come fa il suo protagonista, asciugando le scene (la tempesta è raccontata dal di dentro, l'America non si vede, il mare bagna tutta l'opera senza mostrarci la faccia ma regalandoci l'anima), spalmando sulla Storia un velo gelido documentaristico, che rende perfetto perchè incompleto il suo narrare. La fine non può scriverla il regista. La fine tocca allo spettatore. Ed ognuno, in quel bagno latteo terminale, può scrivere il finale che crede. Sublime.
Sicilia, primi del Novecento: una famiglia siciliana, venduto ogni avere, si imbarca su di una nave, in compagni di numerosi altri viaggiatori, per approdare in America. La traversata, prima innocua, poi sotto una tempesta, poi ancora sul mare piatto, riserverà non poche sorprese. E la terra promessa sarà per pochi.
Controllando gli attori in maniera bressoniana, impedendo ad una storia epica di debordare e pur filmando un kolossal come se stesse girando un documentario, Crialese ribadisce la sua idea di cinema: rigore, forma, distacco improvviso dalla realtà, colori ora morbidi, ora duri, quasi a saturare lo schermo, affinchè il cinema e la vita coincidano. E riesce ad essere diverso da chiunque altro. Ottimo.
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